Si è soliti associare il termine “criptovaluta” esclusivamente a Bitcoin, ma quella creata da Satoshi Nakamoto non è l’unica moneta virtuale che poggia su un sistema decentralizzato per la gestione delle transazioni. Già oggi le alternative sono molte. Una di queste, in particolare, ha fatto registrare negli ultimi mesi un repentino incremento nel proprio valore: stiamo parlando di Ethereum.
Ethereum
+3.000% dall’inizio dell’anno. Il primo gennaio 1 ETH veniva scambiato a 8,07 dollari, mentre il 13 giugno si è arrivati a toccare il picco di 395,13 dollari. L’impennata è ben visibile nel grafico allegato di seguito. Nel momento in cui viene scritto questo articolo il valore è sceso a 344,67 dollari. Complessivamente, la capitalizzazione di tutti gli Ethereum attualmente in circolazione si aggira intorno ai 24 miliardi di dollari: per fare un confronto, quella dei Bitcoin disponibili supera di poco un ammontare pari a 45,8 miliardi di dollari. C’è chi ipotizza un sorpasso già entro la fine del 2017.
A cosa è dovuta una crescita tanto repentina? Stando al parere degli insider, più alla speculazione che a una vera e propria necessità di ottenere la valuta per l’acquisto di beni o servizi in Rete. Essendo l’andamento delle monete virtuali regolato dalla legge della domanda e dell’offerta, il segno positivo innescato negli ultimi mesi è sintomo di un ottimismo generalizzato da parte di chi investe il proprio capitale sperando di trarne profitto rivendendo poi a prezzi più alti. Questo ha spinto il valore verso l’alto, ma al tempo stesso lo espone al rischio di un crollo improvviso: per Bitcoin la bolla è già scoppiata in passato, una prima volta nel 2011 e altre due nel 2013. Ethereum non è invulnerabile a una dinamica di questo tipo, motivo per cui si consiglia prudenza nell’affidare i propri risparmi a una criptovaluta.
Un altro fattore che sta favorendo la crescita di Bitcoin, Ethereum & co. è la forte richiesta che si registra nei territori asiatici, dove la manodopera emigrata da paesi come la Cina o le Filippine verso territori come Giappone e Corea del Sud la impiega per inviare i propri guadagni alle famiglie attraverso circuiti nati appositamente per questo scopo e che applicano commissioni inferiori rispetto a quelli tradizionali (Western Union ecc.): Bluepan è l’esempio più noto.
C’è poi chi sottolinea il nesso tra il boom delle monete virtuali e la pubblicità, seppur negativa, legata all’attività di chi diffonde ransomware per poi chiedere un riscatto alle malcapitate vittime. WannaCry è forse l’esempio migliore per spiegarne la dinamica: il codice maligno infetta il computer, chiedendo il pagamento di una cifra in criptovaluta (dunque con destinatario del pagamento non tracciabile) per sbloccare l’accesso a file e documenti, minacciando altrimenti il proprietario di cancellare ogni contenuto dal disco fisso.
Bitcoin ed Ethereum non sono le uniche due monete virtuali in circolazione e che sfruttano un sistema di tipo P2P per la gestione delle transazioni: le alternative più diffuse, al momento, sono Litecoin, Peercoin, Quark, Namecoin, Feathercoin, Primecoin e Dogecoin.