I giornalisti che lavorano per Facebook dicono che gli strumenti di controllo per il fact checking sembrano per lo più non funzionare a dovere e che l’azienda ha sfruttato questo lavoro per una campagna pubblicitaria. Diverse persone che lavorano per verificare le notizie all’interno di organizzazioni partner di Facebook hanno riferito al The Guardian che temevano che i loro rapporti con il social network, alcuni dei quali pagati, creassero un conflitto di interessi, rendendo molto più difficile per loro criticare il ruolo di Facebook nella gestione delle fake news.
I giornalisti hanno anche lamentato che Facebook si sarebbe rifiutato di divulgare i dati sui suoi sforzi per fermare la diffusione delle notizie false. Queste affermazioni arrivano circa un anno dopo da quando Facebook aveva lanciato un nuovo programma volto ad individuare e contrassegnare tutte le notizie false grazie all’aiuto di team esterni di persone. Sforzo portato avanti a seguito della scoperta che le fake news avevano in qualche modo influenzato il risultato delle presidenziali americane in cui è stato eletto Donald Trump. Problema che da allora si è anche ingigantito con la scoperta che la Russia aveva utilizzato la piattaforma sociale per interferire sulle presidenziali americane.
Un giornalista che si occupa di verificare le notizie ha riferito al The Guardian che quanto posto in essere da Facebook non sembra funzionare visto che le fake news continuano ad essere presenti in numero considerevole all’interno della piattaforma. Dichiarazioni che arrivano protette dall’anonimato, visto che queste persone, per il loro ruolo di collaborazione con Facebook, non sono autorizzate a parlare.
Lo scorso dicembre Facebook aveva annunciato collaborazioni importanti con Associated Press, Snopes, ABC News, PolitiFact e FactCheck.org per contrassegnare con tag specifici le fake news. Tuttavia, un’indagine del The Guardian aveva scoperto che queste verifiche erano per lo più inefficaci e che questi tag speciali non funzionavano.
Alcune persone che si occupano della revisione delle notizie affermano che la mancanza della condivisione di statistiche interne sul loro operato avrebbe ostacolato il progetto e non è chiaro per loro se la società sta davvero prendendo sul serio il problema della propaganda interna alla loro piattaforma.
Un’altra fonte interna a Facebook ha affermato che è stato raro vedere una notizia contrassegnata con questo speciale tag che andava ad identificare le notizie controverse ed ha sollevato dubbi sul funzionamento di questo strumento. Chi si occupa di moderare le notizie avrebbe, infatti, alcune domande da porre a Facebook sul funzionamento di questi sistemi ma il social network non avrebbe mai condiviso alcun dato. Alexios Mantzarlis, direttore dell’International Fact-Checking Network di Poynter, ha affermato di stare lavorando al buio in quanto non sanno quello che sta succedendo.
Alexios Mantzarlis ha ribadito che il livello di informazioni che ricevono è insufficiente e questo è un peccato perché si trattava del più grande esperimento per contrastare la disinformazione.
Un portavoce di Facebook ha dichiarato che una volta che un articolo era stato contrassegnato come falso, le sue visualizzazioni future diminuirono dell’80%. Sempre il social network ha anche sottolineato che il lavoro con i revisori di terze parti non è solo quello di educare le persone su ciò che è stato contestato, perché aiuta anche Facebook a comprendere meglio ciò che potrebbe essere falso e mostrarlo meno all’interno del News Feed.
Le fonti che The Guardian ha utilizzato per la sua inchiesta hanno, dunque, messo in discussione l’attuale meccanismo di revisione, affermando che Facebook avrebbe probabilmente bisogno di un vero e proprio esercito di moderatori interno.