Le fake news sono UN problema? Si, certo. Le fake news sono IL problema? No, assolutamente. Ed è venuto il momento di dirlo. Il problema, semmai, sta nel fatto che l’espressione “fake news” abbia iniziato a prendere piede senza trovare vera, piena e condivisa definizione. Di fatto oggi si tratta di una para-definizione che mette assieme una serie di postulati più o meno fragili, dietro ai quali si nascondono altrettanti pregiudizi più o meno solidi, mescolando così verità e presunte tali in un grande calderone confuso. Fake news, bufale, bugie: sinonimi che vivono in contesti diversi, e che da questi contesti traggono l’essenza della loro diversità.
Fake news, detti e non-detti
Oggi per “fake news” si intende generalmente:
- una notizia fasulla,
- la cui produzione è dolosa e
- la cui divulgazione è online.
Queste tre caratteristiche palesano un punto di vista del tutto parziale, che cela una serie di assunti ulteriori, non dichiarati e fortemente pericolosi:
- viene data per assodata la differenza netta e sostanziale tra verità e bugia, come se la verifica ed il senso critico in grado di analizzare le mille sfumature esistenti non fossero parte fondamentale della comprensione della realtà
- viene dato per assodato che la produzione dolosa possa avere questa o quella causa: vengono così cercati i colpevoli prima ancora di aver identificato la colpa, così da poter usare le fake news come manganello bipartizan di cui si può liberamente fruire
- si lega inestricabilmente il tema fake news alla rete identificando la bugia condivisa online come il male assoluto, e facendo ciò si depotenzia la percezione della bugia mainstream. Ma è peggio il complottismo dell’11 settembre o la storia delle armi di distruzione di massa mai esistite? Il primo vive online la sua massima espressione, la seconda invece nasce nei palazzi del potere e viene divulgata tramite giornali e tv. Ed entrambi i fenomeni hanno gravi conseguenze, non solo di breve periodo.
Ogni volta che si parla di “fake news”, volenti o nolenti si tirano in ballo tutti questi aspetti, perché ormai fanno parte della parola. E se è così, allora bisogna imparare ad usarla in modo appropriato: se riempiamo le prime pagine dei giornali ed i primi titoli dei tg, ne nasce un grande polverone dietro ai quali i temi della campagna elettorale sono destinati a sfumare. Ed in mezzo al quale soltanto le roboanti promesse dei leader riescono a far breccia, a prescindere dal merito: in mezzo al grande rumore, le verità bisbigliate rimangono inascoltate.
Il grande inverno
Facebook ha il dovere di filtrare le notizie false? Anche qui, ogni parola va pesata in modo adeguato perché il tema è importante. Sicuramente è più semplice dire che i giornalisti dovrebbero filtrare le notizie false, perché in questo caso “dovere” è la parola corretta (ma al tempo stesso si tratta di un dovere ampiamente disatteso, violentato da interessi, propaganda e altri fenomeni collaterali). Facebook e altri social media fino ad oggi non hanno avuto troppi doveri, ma la società sta ora iniziando a cercare tutele di fronte a fenomeni che mettono assieme miliardi di persone sbandierando una neutralità che non hanno più.
Tuttavia occorre anche un fondamentale pragmatismo e non è pensabile che si possa cercare una soluzione normativa: l’eterna lotta che la verità deve compiere per emergere sarà sempre e solo una battaglia solitaria nella quale il massimo che si possa ottenere è la rimozione degli ostacoli affinché la verità stessa possa imporsi. La lotta contro le non-verità poco o nulla può fare a tal fine.
La disinformazione è come un grande inverno che scende e raffredda le menti: una legge contro la disinformazione equivale a un termosifone acceso in una piazza, in grado di dare beneficio generale nullo e impressione di benessere soltanto a chi lo sta tenendo in piedi. Se ci si vuol salvare dal freddo bisogna fare qualcosa di differente: proteggere i singoli, uno ad uno, con un vestito ad hoc ricamato di cultura, imbottito di consapevolezza ed in grado di riscaldare grazie alla conoscenza.
Sollevare il problema delle fake news è importante. Frenare il dilagare delle pagine che diffondono notizie fasulle è cosa assolutamente da fare. Tuttavia si tratta di un argine non risolutivo, perché c’è qualcosa di ulteriore e di più importante a monte. Ed è lì, un passo prima del polverone, che bisogna intervenire. Bisogna anzitutto porsi qualche domanda: perché orde di italiani ritengono che il modello-Putin (l’immagine ritratta del leader russo su alcune pagine social è notoriamente del tutto artificiosa) possa sistemare tutti i mali del paese? Perché continuano a girare bufale contro la Kyenge? Perché continuano ad essere condivise le storie sugli euro agli immigrati (solitamente messe in contrapposizione al pensionato affamato, al terremotato in tenda ed al cervello in fuga)? Ma al tempo stesso, perché si crede in cure prodigiose, in rimedi miracolosi e in trucchi-dai-risultati-sorprendenti? Non è forse un eccessivo spread tra la conoscenza interiorizzata e la complessità nell’interpretazione delle cose del mondo a generare mostri medioevali come la ricerca di soluzioni semplici basate sulla cabala, l’uomo forte e la scorciatoia?
E se il vero problema non fossero quindi le fake news, ma un sentimento più profondo, sottile, greve, “di pancia”, istintivo e sottaciuto? Sarebbe riduttivo anche ricondurre il tutto al razzismo, ad esempio, perché non tutte le bufale cavalcano questo filone. Per lo stesso motivo non è tutta una battaglia anti-establishment, altro filone che si intreccia ad altri in un vorticoso incedere di condivisioni. Troppo facile sarebbe ricondurre tutto alla mera credulità del popolo-bue, accezione dispregiativa sulla quale morirebbe ogni pulsione verso un mondo migliore. Confondere il fine con il mezzo, questo è il pericolo: le fake news sono o non sono un mezzo pensato per raggiungere un fine? Il dolo va cercato (propaganda, guadagno o altro), il colpevole va fermato (identificato, limitato, scoraggiato), ma la vera cura per il problema è un vaccino fatto di conoscenza, senso critico e raziocinio. Solo questi aspetti possono innescare un ciclo positivo che porta nel flusso della divulgazione il bello e il vero. Altrimenti sarà solo un grande inverno, da affrontare senza protezioni.
La foglia di fico
Eppure eccole le fake news, sparate su ogni giornale e su ogni tg. Citate da ogni partito e ogni editore. Tirate per la giacchetta come etichetta negativa da affibbiare a qualsivoglia notizia legata al “nemico”. Ogni cosa scagliata tra diversi nemici è arma: questo sono oggi le fake news e questo sono oggi allo stesso modo le propagande anti-fake. Ma la storia è piena di false notizie, di false percezioni, di falsa propaganda. Ancor oggi c’è chi crede che “quando c’era lui” tutto funzionava, quindi di cosa discutiamo? Il problema è che ci sono post su Facebook che ricordano (con molta fantasia) quanto di buono sia stato fatto nel Ventennio, oppure il problema è che ci siano persone disposte a crederci? Oppure il problema è duplice e non bisogna ignorare né il colpo al cerchio, né il colpo alla botte?
Per intervenire davvero servirebbe serietà di approccio, equidistanza nei giudizi e soprattutto un clima non avvelenato da una campagna elettorale strisciante e onnivora. Le fake news sono oggi tema centrale di dibattito, saranno la scusa che opporrà chi perde le elezioni e poi finalmente saranno dimenticate: quello sarà il momento migliore per intervenire con saggezza e moderazione, affinché i problemi veri possano essere limitati, incanalati e calmierati. Fino ad allora, però, il tema “fake news” sarà la grossa foglia di fico che la politica frappone tra sé e i votanti. Perché c’è una vergogna da nascondere: l’assenza di idee, la scarsità dei risultati, l’inesistenza di una programmazione efficace. Meglio, quindi, parlare di fake news: affinché l’occhio cada proprio lì, pur senza poter vedere.