Sembrava che il CD avesse distrutto il vinile.
Da qui Michele Gagliardi della Europress-Vinyl parte per raccontare la sua avventura imprenditoriale, fortemente legata alle dinamiche che interessano l’industria discografica. La sua azienda stampa vinili, un supporto dato quasi per spacciato nell’era del digitale e dello streaming, ma tornato prepotentemente in auge grazie (non solo) all’effetto nostalgia. L’impianto è alle porte di Milano: l’abbiamo visitato.
Gagliardi inizia a produrre vinili nei primi anni ’80, quando il formato era di fatto l’unico a cui affidare le nuove uscite, se non si considerano le musicassette. L’avvento del CD prima e del digitale poi hanno messo a dura prova un mercato che per qualche tempo è stato mantenuto in vita quasi esclusivamente da una nicchia di appassionati e addetti ai lavori. Poi, all’improvviso e in modo quasi inatteso, qualcosa è cambiato.
Dal 2012 in poi i volumi di vendita sono tornati positivi, innescando un trend che prosegue ancora oggi: l’analisi condotta da HMV parla di un mercato che nel 2017 sta facendo registrare gli stessi numeri del 1990, anche grazie alle
vendite online. Chi stampa su vinile? E chi sceglie di acquistare questo formato? Lo abbiamo chiesto al titolare della Europress-Vinyl nella nostra QUERY.
Come nasce un vinile?
Si parte dalla materia prima, dal PVC (cloruro di polivinile), ridotto in granuli di pochi millimetri. Viene immesso nella prima parte del macchinario dove, attraversando una vite senza fine, la temperatura è innalzata fino a 140-150° C. In uscita si ottiene quella che viene definita una polpetta, una pastiglia dalla consistenza adatta alla lavorazione, pressata tra due matrici che vanno a impressionare i solchi delle facciate. Nel frattempo un braccio meccanico applica l’etichetta al centro. In pochi secondi viene così creato il disco, raffreddato e infine rifilato lungo il perimetro esterno. Gli avanzi della lavorazione sono poi recuperati e immessi nuovamente nel ciclo produttivo.