Se navigare sui siti di dating equivalesse ipso facto al tradimento, allora probabilmente si libererebbe qualche posto in Paradiso e al contempo molte cause di separazione avrebbero avuto conclusione rapida e repentina. La situazione è invece fortunatamente più complessa di quella che molti resoconti di una recente sentenza della Cassazione lasciano intendere.
I fatti, in assenza di altre fonti, vanno intesi per quello che è raccontato all’interno della sentenza 9384/18 della prima sezione Civile della Corte di Cassazione. Il contesto è quello di una lite tra due coniugi, uniti in matrimonio per circa un anno. Il ricorso in Cassazione da parte del marito porta avanti varie contestazioni, ma la decisione del Presidente Giancola si focalizza su uno specifico dei punti, ossia il motivo che avrebbe causato il volontario allontanamento dall’abitazione da parte della donna:
Il ricorrente si duole che la Corte di appello abbia ritenuto giustificato l’allontanamento della moglie dalla casa coniugale senza preavviso esclusivamente per la scoperta di un interesse del marito alla ricerca di compagnie femminili sul Web: sostiene che tale circostanza non era sufficiente a provare che l’allontanamento fosse dipeso esclusivamente da ciò, in assenza di pregresse tensioni tra i coniugi.
In merito a questo punto la Corte ha ritenuto inammissibile il ricorso «ravvisando una violazione degli obblighi di fedeltà da parte del marito, intento alla ricerca di relazioni extraconiugali tramite internet». Tale situazione è stata ritenuta «circostanza oggettivamente idonea a compromettere la fiducia tra i coniugi e a provocare l’insorgere della crisi matrimoniale all’origine della separazione». A differenza di quanto riportato da molti organi di stampa, l’uomo non si limitava a navigare siti di dating: le parole usate dalla sentenza lasciano trasparire una ricerca proattiva di relazioni extraconiugali, il che sembra concretizzare qualcosa di più di una semplice navigazione: si può immaginare l’apertura di account, la ricerca di contatti, l’inizio di chat ed eventualmente contenuti tali da rimuovere ogni dubbio in merito alle intenzioni.
Se da una parte la Corte non sembra dar spazio al dubbio per cui l’uomo stesse soltanto navigando (la visita di un sito di dating potrebbe anche soltanto essere conseguenza di curiosità), dall’altra ravvisa in questa pratica una chiara “violazione degli obblighi di fedeltà” tale da far venir meno quel clima di fiducia, comunione e serenità sul quale è possibile costruire un duraturo rapporto. Sebbene l’uomo non abbia di per sé commesso adulterio, né abbia mai fisicamente tradito la moglie, ha comunque fatto venir meno i presupposti al mantenimento di quel rapporto coniugale dal quale discende l’obbligo alla coabitazione.
Navigare siti per incontri amorosi non è dunque peccato, ma in qualche modo ci si avvicina. E quando un rapporto non va nella giusta direzione, prima ancora del Padreterno ci pensa la legge ad infliggere la propria punizione. La Corte ha dunque ignorato i motivi del ricorso, ha negato la possibilità di sminuire ciò che si può fare su un sito di dating ed ha tagliato corto su un matrimonio che, ad appena un anno di durata, ha dimostrato basi un tantino fragili per poter durare sotto il peso di tutti i diritti ed i doveri (art.143 del codice civile) che ne conseguivano.