A quattro mesi di distanza dal fatale incidente che è costato la vita a una donna di 49 anni, le vetture a guida autonoma di Uber tornano a circolare sulle strade pubbliche, nella città di Pittsburgh, ma con alcune sostanziali cambiamenti: il sistema self-driving è disattivato e a bordo si trovano non uno, ma due autisti esperti, in pieno controllo del veicolo in ogni istante.
A cosa serve dunque questa fase di test? Ufficialmente a migliorare la qualità delle mappe impiegate dal servizio. La sensazione è però che si tratti di uno step per anticipare un ritorno a tutti gli effetti e a pieno regime. Stando a quanto dichiarato da Eric Meyhofer, numero uno dell’Advanced Technologies Group di Uber, le sessioni di guida su strada saranno affiancate dal training degli algoritmi mediante l’impiego di un simulatore, pratica alla quale in passato il gruppo ha sempre attribuito un’importanza marginale (al contrario di concorrenti come Waymo) per via della sua presunta scarsa efficienza.
La guida manuale ci permette di osservare in tempo reale i differenti scenari che le nostre self-driving car incontrano sulla strada, dopodiché li ricreiamo in un mondo virtuale ed effettuiamo i test, così da migliorare le performance generali del sistema in quelle condizioni.
Gli autisti che Uber impiega ora per il test delle proprie self-driving car sono definiti Mission Specialists: non più semplici piloti, ma personale appositamente addestrato per fronteggiare le situazioni di emergenza. Il gruppo ha inoltre annunciato di aver installato sulle vetture un sistema in grado di monitorare costantemente il livello di attenzione di chi si trova al volante, attivando un avviso nel caso di distrazioni. L’autista che si trovava a bordo al momento dell’incidente, infatti, stava guardando in streaming su Hulu una puntata di The Voice. Ancora, è stato riabilitata la tecnologia installata da Volvo sulle XC90 per la frenata automatica nel caso di rischio collisione con pedoni o altri veicoli.