Sappiamo che il rapporto del governo degli Stati Uniti con Huawei non è dei più idilliaci. Dai primi tempi del suo insediamento, Donald Trump ha fatto terra bruciata contro un paio di compagnie ritenute vicine a governi non proprio amici, tra cui la Russia e la Cina. Se nel primo caso è stato Kaspersky a rimetterci, nel secondo è toccato a Huawei e ad altre organizzazioni rampanti al di là della muraglia, come ZTE.
Il dubbio di Washington è che le infrastrutture e i dispositivi a marchio Huawei contengano delle backdoor o stratagemmi simili per consentire un facile ingresso ai reparti IT di Pechino. Per questo ha messo al bando, “consigliando”, gli smartphone del gruppo dai cataloghi degli operatori nazionali e ristretto pesantemente la corsa alla realizzazione delle infrastrutture 5G lungo vari stati.
Ma la paura va anche ai cugini limitrofi. Tanto che i senatori Mark Warner e Marco Rubio hanno inviato una lettera al primo ministro canadese Justin Trudeau chiedendogli di “riconsiderare” il coinvolgimento di Huawei in uno dei piani nazionali sul 5G. Stando ai due, vi sarebbero ampie prove circa il lavoro sottobosco che il governo cinese effettua periodicamente per indirizzare le multinazionali hi-tech verso i propri obiettivi. Nessuna grande compagnia sarebbe completamente libera dal controllo di Pechino, e per questo coverebbe che non solo gli Usa, ma anche gli altri paesi, studino bene cosa vorrebbe dire lasciar fiorire centinaia di chilometri di antenne radio 5G sui rispettivi territori.
La spinta alla censura da parte di Warner e Rubio, va anche oltre. Canada e Usa fanno parte dell’alleanza dei cosiddetti Five Eyes, che comprendono pure Australia, Nuova Zelanda e Regno Unito, dunque una politica comunitaria metterebbe al bando Huawei in tutti e cinque i partner, con una perdita di investimenti per nulla banale rispetto alle mire IT del colosso di Shenzen.
Seppur il governo canadese non abbia formalmente risposto alla lettera, è probabile che accetti senza troppe remore l’invito, anche per il timore di eventuali ritorsioni economiche provenienti da Washington. Tuttavia il presidente del Centre for Cyber Security, Scott Jones, ha dichiarato durante un’udienza in parlamento che non vi è alcuna prova dell’intrusione cinese nelle strategie di Huawei. Anzi, ha asserito come Ottawa analizzi costantemente la validità delle reti ed eventuali manomissioni.