Le voci dei giorni scorsi si sono verificate nella notte tra domenica e lunedì. IBM ha finalizzato l’accordo di acquisizione di Red Hat per 34 miliardi di dollari.
Per il gigante dell’informatica si tratta di una mossa importante, la più onerosa in oltre cento anni di storia. In realtà, nonostante le indiscrezioni siano diventate concretezza, per chiudere definitivamente la questione serve il voto di chi detiene le azioni di Red Hat e delle organizzazioni che regolano il mercato negli Stati Uniti, paese dove si trovano i quartier generali di entrambi. Per questo, una tempistica probabile di ufficializzazione potrebbe essere la primavera del 2019, ma tutto dovrebbe procedere senza intoppi.
I motivi dell’acquisizione vanno oltre le etichette. Da tempo Red Hat è un nome di spicco nel campo del cloud computing, soprattutto quello ibrido. Per questo la multinazionale ha spiegato che i progetti, di parte del team, andranno sopratutto in quella direzione. Ginni Rometty, CEO di IBM ha infatti sostenuto come sia fondamentale porsi correttamente verso il binario della nuvola del futuro, progettata con strumenti che siano basati fortemente sull’open source. Red Hat fa proprio di questo il suo mantra, essendosi distinta negli anni per l’impegno allo sviluppo di software non proprietario.
Non a caso, Jim Whitehurst, CEO di Red Hat, poco dopo la notizia ha pubblicato questo messaggio, dedicato ai suoi dipendenti ma sono solo:
L’open source, i formati e gli standard aperti non solo hanno cambiato la tecnologia, ma anche la nostra società in meglio. Il ruolo di Red Hat in tutto questo non può essere sottovalutato ed è per questo che con IBM vogliamo accelerare il lavoro su larga scala e mostrare a tutti che l’apertura libera ha davvero un potenziale elevato e privo di limiti.