Uno dei problemi più sentiti dagli utenti di smartphone negli ultimi anni è senza dubbio quello dell’autonomia: da un lato non si riesce ad avere batterie dalla durata superiore, dall’altro si cerca sempre di fare telefoni dal profilo più sottile, ed il risultato è che spesso non si riesce ad arrivare a sera con una ricarica.
Per ovviare a questo problema tutte le case produttrici di dispositivi smart hanno concentrato le loro ricerche verso tecniche di ricarica rapida: se non possiamo fare a meno di portarci dietro un caricabatteria, almeno ricarichiamo il telefono in un tempo inferiore, e spesso gli slogan puntano proprio su questo con frasi tipo “2 ore in 5 minuti”.
E quindi abbiamo iniziato a sentir parlare tra gli altri di Quick Charge e di Power Delivery, le due tecnologie principali per ricaricare uno smartphone in tempi ridotti. Ma quali sono le differenze fra queste? E se abbiamo un caricabatteria ma poi cambiamo telefono, possiamo ancora usarlo o dovremo comprarne uno nuovo?
All’inizio fu Qualcomm a sviluppare il Quick Charge, giunto oggi alla versione 4. Qualcomm, forte della sua esperienza nello sviluppo di processori, ha inserito dei componenti elettronici all’interno del caricabatteria per far sì che tensione e corrente erogate si andassero a regolare costantemente per evitare il surriscaldamento del dispositivo. Adattandosi ai molteplici modelli di smartphone presenti sul mercato, la tensione di uscita è passata dai 5V iniziali ai 9V, e anche le correnti sono salite fino ai 3A.
Ad oggi la versione più diffusa è la Quick Charge 3.0, ma molti dispositivi supportano già la Quick Charge 4+ su connettore tipo C. Fra questi Pixel 3 e 3 XL, LG G7 Thinq, Xiaomi Mi 8 e Mi 8 Pro, Poco F1, BQ Aquaris X2 e X2 Pro. E per quanto riguarda i caricabatteria, mentre possiamo trovarne decine col supporto alla versione 3.0, al momento solo Hama ha messo in commercio un caricatore con supporto alla versione 4+ e ben 27W di potenza, sia da casa che da auto.
Lo svantaggio del Quick Charge sta nel fatto che Qualcomm ne ha brevettato le specifiche, e tutti i produttori di smartphone e caricatori che le vogliono implementare devono pagare una licenza all’azienda californiana.
Ed è qui che entra in gioco lo USB Implementers Forum, ente no-profit che stabilisce gli standard di comunicazione delle porte USB e ha all’interno del suo consiglio di amministrazione rappresentanti di Apple, Intel, Microsoft, Renesas, STMicroelectronics e Texas Instrument. Essendo senza fine di lucro, lo USB IF non impone costi di licenza e chiunque può utilizzare le sue tecnologie gratuitamente.
Con la diffusione dello standard USB Type-C è stato quindi lanciato il Power Delivery, giunto oggi alla versione PD3, che funziona in maniera abbastanza simile al Quick Charge e permette di alimentare uno smartphone con valori superiori di tensione e corrente che vanno a ridurre i tempi di ricarica.
I vantaggi del Power Delivery non si limitano all’assenza di costi di licenza, ma con una integrazione più profonda nello standard di tipo C presente oggi in molti device permette ai produttori di dispositivi elettronici di risparmiare sullo sviluppo di tecnologie proprietarie e favorisce lo scambio di caricatori fra produttori diversi, riducendo il numero di rifiuti elettronici e la necessità di acquistare un nuovo caricatore ogni volta che si cambia telefono.
Il Power Delivery viene adottato automaticamente da tutti i device Android con Oreo sebbene fosse già raccomandato con la versione Android 7.1, ed è stato implementato anche da Apple sia sugli iPhone che sugli iPad, ma anche sui MacBook con connettore Type-C. Al momento lo standard PD3 può erogare fino a 100W di potenza, sebbene i caricatori in commercio siano tipicamente fino a 60W per la ricarica dei MacBook, e fino a 30W per gli smartphone, con livelli molto simili ai 27W del QC4+.
Al momento troviamo in commercio caricabatterie e power bank con supporto al PD3 di vari produttori, compresi i popolari Anker, Aukey e tanti altri. Ma se PD3 e QC4 lavorano entrambe su connettori di tipo C, le cui specifiche sono regolate dallo USB IF, è possibile scambiare i caricatori? E quali sono le differenze fra i due standard?
La risposta alla prima domanda è: sì. Per dirla in maniera semplice, con l’adozione del connettore Type-C anche Qualcomm ha dovuto rispettare gli standard PD3. Qual è quindi la convenienza per i produttori di smartphone nell’adozione del QC4+ che oltretutto richiede il pagamento di una licenza? Qualcomm deve offrire qualcosa in più per mantenere il suo standard, ed infatti è così: il Quick Charge ha una tecnologia proprietaria che controlla la temperatura del dispositivo e fa in modo che questo non si riscaldi troppo.
Quick Charge e Power Delivery non sono però gli unici standard per la ricarica rapida, sebbene siano quelli più universali e a disposizione di tutti i produttori di device. A questi si aggiungono alcuni standard sviluppati da alcuni produttori, come ad esempio Huawei SuperCharge, Samsung Adaptive Fast Charge, OPPO Super VOOC e OnePlus Dash. Cosa cambia in questi standard? Fondamentalmente molto poco.
Infatti tutte queste tecnologie proprietarie operano su connettori USB Type-C, e quindi sono già compatibili con il Power Delivery. La differenza sta nel diverso bilanciamento di tensione e corrente erogati, che possono in alcuni casi aumentare la potenza di uscita del caricatore ed effettivamente ricaricare lo smartphone in tempi ridotti, ma che molto spesso rimangono quelli del PD3. L’unico motivo per cui queste aziende continuano a investire risorse nello sviluppo e nella comunicazione delle tecnologie di ricarica è il marketing, la necessità di dire che il loro prodotto ha qualcosa in più degli altri, mentre sarebbe sicuramente meglio adottare gli standard già presenti ed utilizzare quei fondi in altro modo.
Con l’arrivo dei connettori di tipo C sui nuovi iPad e forse anche sui futuri iPhone, riusciremo finalmente ad avere un caricabatteria universale e ad evitare di inserirne uno in ogni confezione, come già chiese l’Europa ai tempi dell’adozione del microUSB nel 2010?