Si torna a parlare di Dragonfly, il motore di ricerca censurato che Google sta sviluppando per il mercato cinese: diversi gruppi di attivisti per i diritti umani hanno protestato fuori degli uffici dell’azienda in 10 Paesi lo scorso venerdì, al fine di sollecitare i leader a cancellare definitivamente il progetto.
Le proteste, unite sotto il nome della campagna Stop Google Censorship, hanno compreso una coalizione di gruppi rappresentanti le comunità che hanno subito persecuzioni da parte del governo cinese, compresi tibetani e uiguri.
I gruppi si sono presentati davanti agli uffici di BigG negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Canada, in India, in Messico, in Cile, in Argentina, in Svezia, in Svizzera e in Danimarca; l’obiettivo era quello di evidenziare come un motore di ricerca censurato possa essere utilizzato per monitorare le ricerche degli utenti, controllare gli attivisti e diffondere disinformazione ai residenti del “Paese del Dragone”.
Rushan Abbas, direttore della campagna per gli uiguri, conosce fin troppo bene i rischi che alcune minoranze cinesi devono affrontare. Ha raccontato che sua sorella Gulshan è uno dei più di un milione di uiguri che sono stati detenuti e portati nei campi di internamento, che il governo cinese definisce “centri di rieducazione”. Pertanto afferma:
Google dovrebbe onorare i valori americani e condannare la richiesta dello sviluppo di un motore di ricerca censurato. Non dovrebbe proprio prenderla in considerazione, a dirla tutta. Non si tratta solo di soldi o business, si tratta di valori umani.
La protesta di venerdì scorso aveva lo scopo di incoraggiare i dipendenti di Google a fare pressioni sulla direzione dell’azienda per rilasciare una dichiarazione più precisa sullo stato di Dragonfly.