Ci sono decine, per non dire centinaia, di compagnie statunitensi, che vendendo hardware a Huawei hanno visto crescere notevolmente il loro fatturato. Pensare che il ban di Trump alla cinese passasse inosservato, il presidente ha danneggiato anche quelle stesse imprese che diceva di voler difendere.
Ecco allora che i leader del settore, tra cui Intel e Micron, avrebbero trovato il modo di evitare l’etichettatura delle merci come fabbricate negli Usa, così da veicolarle ancora alla partner di Shenzen. Questo perché le merci prodotte da compagnie americane all’estero non sono sempre considerate di produzione americana ed è in questo modo che Huawei ha ripreso a lavorare, almeno da tre settimane.
Micron Technology, il più grande produttore statunitense di chip di memoria, ha dichiarato di aver iniziato a spedire alcune componenti a Huawei dopo che i suoi avvocati hanno studiato le restrizioni alle esportazioni. Intel Corp, ha fatto lo stesso, aggirando la burocrazia e il linguaggio legale. Non è chiaro quanti altri abbiano seguito un simile modus operandi ma è plausibile pensare che la vicenda non si fermi qui.
Anche quando una ditta ha sede negli Stati Uniti, secondo l’analista di Cross Research, Steven Fox, potrebbe essere in grado, attraverso la proprietà di sussidiarie e filiali all’estero, di classificare la loro tecnologia come straniera. Se meno del 25% della tecnologia di un chip proviene dagli Stati Uniti, ad esempio, non si applica il divieto. “Ci sono volute settimane per capirlo – ha detto Fox – ma quello che hanno fatto è stato guardare le leggi e le regole e applicarle ai loro affari”.
Ciò dovrebbe consentire a Huawei di riprendere la produzione e continuare a vendere i suoi dispositivi a livello globale. Del resto, Trump potrà vietarne una commercializzazione in patria, non certo nel resto del mondo.