L’Italia ha prorogato le misure restrittive per contrastare l’emergenza coronavirus fino al 4 maggio. Da qui ad allora, le autorità nazionali, di concerto con quelle europee, dovranno lavorare alla “fase 2”, ovvero alla graduale e ragionata “riapertura” dell’Italia, mantenendo al contempo il controllo dei contagi. L’ultima parola spetterà inevitabilmente al comitato scientifico, come ribadito in questi giorni dalla politica, cui però sono demandate decisioni importanti relative al cosiddetto “tracciamento”, di cui si sta parlando tanto in queste settimane. Per vederci più chiaro, ne abbiamo parlato con Riccardo Meggiato, uno dei più accreditati esperti in sicurezza informatica.
Si parla tanto di tracciamento degli spostamenti dei cittadini nella cosiddetta “fase 2” della lotta al coronavirus. Puoi spiegarci in soldoni cosa vogliono fare l’Italia o l’Europa più in generale?
“Vogliono creare un’app che, una volta installata, tenga traccia degli spostamenti delle persone positive al virus, in modo da poter calcolare la quantità e l’area di interazione con altri individui. In questo modo si potranno tenere sott’occhio i contagiati e monitorare come il virus rischia di propagarsi anche quando ci troveremo nella Fase 2, cioè quella successiva a questo lockdown”.
Perché vengono spesso citati da media ed esperti i modelli di Corea del Sud e Taiwan per efficacia per il tracciamento rapido dei contatti? Sono replicabili nel nostro contesto?
“Perché si credeva che fossero degli esempi di efficacia di questa soluzione. Tuttavia, non si tiene conto che questi paesi sono stati capaci di contrastare il virus per un “pacchetto” di soluzioni attivate all’unisono. Per esempio, la distribuzione a tutta la popolazione di mascherine fin dal primo momento, e il lockdown avviato subito e in modo restrittivo. Può darsi che l’app abbia contribuito al successo di questa politica, ma nella stessa Corea è stata utilizzata molto dopo. La mia impressione, ma non sono un epidemiologo, è che alla lotta al virus abbiano contribuito altri fattori e l’app è solo la ciliegina sulla torta. In Italia, invece, sembra diventata la panacea di tutti i mali e mi stupisco che alcuni virologi, che nulla sanno di tecnologia, se ne facciano promotori senza sapere di cosa parlano. È il motivo per cui io non parlerei mai di virologia. A prescindere da ciò, va considerato che in quei paesi vigono leggi sulla privacy molto diverse dalle nostre. Questo è una soluzione da noi meno praticabile e meno utile, sia dal punto di vista sanitario che, soprattutto, legale”.
L’idea che ci si è fatti in linea generale è che per tracciare rapidamente spostamenti e contatti in maniera tempestiva, sia necessario sacrificare una porzione della privacy delle persone. C’è un modello che consenta di proteggere al contempo le vite e le libertà? In questo senso si parla tanto dello sfruttamento della tecnologia bluetooth al posto del Gps, come nel caso del progetto congiunto presentato da Google ed Apple…
“Questo è il punto essenziale della questione: esistono soluzioni che possono sposare il rispetto della privacy e, dopo numerosi appelli da esperti in cyber-security e privacy, pare che la strada intrapresa sia proprio questa. Molti, tra i quali il sottoscritto, per esempio, evidenziavano come i dati offerti da Google e Apple fossero più che sufficienti per ottenere una soluzione efficace e in linea con le rigide norme europee sulla privacy. Ma mai avrei sperato in una collaborazione tra questi due giganti: è davvero un’ottima notizia”.
Sono due al momento le app in Italia candidate per il tracciamento del COVID-19 in Italia, una sviluppata da Bending Spoons e Centro medico Santagostino, l’altra formulata da un team di esperti e promossa dall’ex parlamentare Stefano Quintarelli. La decisione ultima spetterà alla task force nominata dal ministero dell’Innovazione, su quale delle due punterebbe Riccardo Meggiato?
“Si tratta in entrambi i casi di due ottime soluzioni ed entrambe rispettano la privacy. Di quella di Bending Spoons e CMS si sa meno, ma le referenze dell’azienda e del centro medico sono eccellenti. Della seconda soluzione “ad hoc” è disponibile, invece, perfino il codice sorgente, e questo è molto positivo. Voci non confermate danno come scelta preferenziale la prima e posso intuirne le ragioni. Bending Spoons ha già un’ottima e lunga esperienza nel settore dello sviluppo app, quindi c’è da aspettarsi forse una maggiore cura a livello di interfaccia, essenziale con utenti poco avvezzi agli strumenti digitali, mentre il Centro Medico Santagostino è noto per i processi di digitalizzazione delle sue attività. Inoltre, fattore di primaria importanza, Bending Spoons fa già parte del progetto PEPP-PT, ossia un protocollo di tracciamento valido in tutta Europa e sviluppato proprio per questa pandemia. Visto che lo scenario è quello di un’app valida in tutta Europa, o comunque una tecnologia unificata per tutti i paesi dell’Unione Europea, la scelta mi pare abbastanza scontata. Però attenzione: il patto di collaborazione tra Goolge e Apple potrebbe sparigliare le carte, a meno che non si vogliano adottare entrambe le soluzioni”.