Jack Dorsey, fondatore e proprietario di Twitter, ha affidato a una serie di messaggi sul famoso social, il suo pensiero sulla questione ban di Donald Trump. Da questo punto di vista, il creatore di Twitter e Fleetic ha sostenuto che, seppur ritenendo valide le motivazioni che hanno spinto la sua piattaforma a bandire l’account del presidente americano uscente, considera comunque la decisione un “fallimento” che stabilisce un precedente pericoloso nell’ambito del potere detenuto dalle grandi aziende.
Il potere dei social
Un’accusa che tra l’altro proprio in questi giorni sono piovute su Twitter e sui principali social network da parte di diversi esponenti politici mondiali, tra i quali la Cancelliera tedesca Angela Merkel, preoccupati che le sorti delle democrazie possano essere condizionate, se non addirittura decise, dalla volontà di management aziendali piuttosto che dal libero arbitrio degli elettori.
Penso che bannare sia un nostro fallimento nel promuovere una sana conversazione. Dover intraprendere queste azioni frammenta la conversazione pubblica. Ci dividono. Limitano la possibilità di chiarimento, redenzione e apprendimento. E crea un precedente che ritengo pericoloso: il potere che un individuo o un’azienda ha su una parte della conversazione pubblica globale”.
Il problema del controllo e della responsabilità relativi a questo “potere” per Dorsey non deriva dalla questione Twitter in sé, visto che il suo servizio di notizie e microblogging è “solo una piccola parte della più ampia conversazione pubblica che avviene su Internet”, ma dal fatto che anche altri servizi abbiano assunto la medesima posizione.
Le riflessioni del patron di Twitter
In questo modo è venuto a crearsi, in maniera “del tutto non pianificato”, sostiene Jack Dorsey, una vera e propria mancanza di alternative per gli utenti e per la persona bloccata: “prima, se le nostre regole e la loro applicazione non ti soddisfacevano, potevi semplicemente rivolgerti a un altro servizio Internet. Ma così non è stato possibile” ed è mancata la libertà di scelta, un certo equilibrio.
Il momento può richiedere certe dinamiche, ma a lungo termine sarà distruttivo per il nobile scopo e gli ideali di Internet aperto. Un’azienda che decide di moderarsi è diversa da un governo che rimuove un accesso, ma ci si può sentire più o meno la stessa cosa”.
Insomma, Dorsey sottolinea come ritenga giusto alla fine aver bloccato Trump in un momento delicato, dove la violenza rischiava di degenerare. Inoltre, dal suo punto di vista, avendo di fatto violato le regole del social, il presidente americano andava sospeso. Il punto, però, è che se certe chiusure arrivano da più parti, magari per partito preso, allora si rischia di trasformare in censura un’azione che, si spera, aveva davvero ben altri fini.
Inoltre è importante stabilire se è lecito che a prendere decisioni simili, trattandosi comunque del leader di una nazione, sia un privato, piuttosto che “un organismo indipendente, che non sia caratterizzato da controllo governativo o politico”, come sostenuto da Cesare Mirabelli, giurista italiano, presidente della Corte costituzionale.