Nella sua relazione annuale al Parlamento, il Garante della Privacy ha abbracciato tutti i temi più importanti del difficile periodo che stiamo vivendo, anche a causa soprattutto della pandemia. Dal Green Pass al fenomeno TikTok, dalla pedagogia digitale al diritto alla disconnessione e lo smart working, fino alla didattica a distanza e gli attacchi informatici, il presidente dell’Autorità per la protezione dei dati personali Pasquale Stanzione ha affrontato svariati argomenti ma per arrivare a un’unica conclusione: bisogna porre dei limiti allo strapotere delle piattaforme social, e impedire che la democrazia diventi algocrazia, “un potere che arriva a sfociare nel caporalato digitale degli iperconnessi ma sudditi“, in un contesto generale dove i diritti del cittadino e la privacy devono rimanere il baluardo contro qualsiasi rischio di deriva autoritaria.
Il Garante baluardo per la democrazia
La funzione sociale della privacy è resa ancor più evidente in una congiuntura, come l’attuale, contraddistinta da rilevanti trasformazioni nel rapporto tra singolo e collettività, tra libertà e poteri, che rendono questa una stagione quasi costituente sotto il profilo della garanzia dei diritti. “La permanenza della condizione pandemica” – spiega l’Autorità nella sua relazione – “ci ha insegnato a convivere con le limitazioni dei diritti, tracciando tuttavia il confine che separa la deroga dall’anomia, dimostrando come la democrazia debba saper lottare, sempre, con una mano dietro la schiena”.
Ma quella della democrazia liberale contro le derive autoritarie è una vittoria da rinnovare giorno per giorno mai dandola per acquisita, come ha fatto l’Europa che ha dimostrato, anche in quest’occasione, di saper coniugare, senza contrapporle, libertà e solidarietà, sfuggendo alla tentazione delle scorciatoie tecnocratiche della biosorveglianza. Ciò non ha comunque potuto impedire una profonda trasformazione sociale, culturale e perfino antropologica di cui la pandemia è stata un catalizzatore, rivelando quanto sia profonda l’interrelazione tra la nostra vita e il digitale.
A partire dai primi mesi di lockdown e con effetti, tuttavia, verosimilmente destinati a perdurare, alle piattaforme è stata affidata la stragrande maggioranza delle nostre attività quotidiane; la parte più significativa degli scambi commerciali è avvenuta on-line, persino le prestazioni sociali più rilevanti (dalla scuola all’università, dai servizi amministrativi alla giustizia) sono state erogate da remoto. Il digitale ha, così, dimostrato di poter essere al servizio dell’uomo, ma non senza un prezzo di cui bisogna avere consapevolezza.
L’accentramento progressivo, in capo alle piattaforme, di un potere che non è più soltanto economico, ma anche – e sempre più – performativo, sociale, persino decisionale. Un potere che, sempre secondo il Garante, si innerva nelle strutture economico sociali, fino a permeare quel “caporalato digitale” rispetto ai lavoratori della gig economy, protagonisti (anche in Italia) del primo sciopero contro l’algoritmo.