Se ne è discusso in passato, ma ora l’argomento sta entrando poco per volta nell’immaginario collettivo a mano a mano che l’utenza aumenta ed il servizio assume notorietà grazie a pubblicazioni e riconoscimenti:23andMe è l’azienda che, partendo da un campione di saliva, promette di analizzare il DNA consegnando all’utente uno spaccato di quelle che sono le caratteristiche che porta in dote all’interno del proprio codice genetico. Il gruppo ha ricevuto l’importante riconoscimento di “Invenzione dell’anno” da parte del Time solo nei giorni scorsi e con le luci della ribalta sono in molti ad aver avuto un primo curioso impatto con la proposta dell’azienda.
Il DNA è in qualche modo il nostro codice sorgente, ciò che fa funzionare la “macchina” del corpo, ciò che regola il modo in cui ogni nostra caratteristica è stata maturata dal momento del concepimento in poi. Analizzarlo significa poterlo decodificare in modo che possa essere poi interpretato in una seconda fase. Ed è questo il passaggio più importante: i meandri del codice vengono messi in chiaro e “tradotti” secondo quello che è lo stato attuale della ricerca.
Quello che 23andMe intende proporre è una cosa relativamente rivoluzionaria: aprire il DNA al suo legittimo proprietario, così che ognuno possa leggere e conoscere le proprie caratteristiche e conoscere meglio se stesso di quanto non si possa fare davanti a uno specchio. Ma 23andMe offre anche altro: agendo su base statistica, confronta le attitudini personali ed è in grado di mettere in rapporto le nostre caratteristiche con quelle medie della popolazione, evidenziando così peculiarità accentuate o potenziali pericoli connessi ad eventuali mutazioni genetiche.
23andMe è stata fondata nell’Aprile del 2006 da Linda Avey ed Anne Wojcicki. Di quest’ultima si sa già molto: moglie del cofondatore di Google Sergey Brin, russa di origini come il marito, la Wojcicki è laureata in biotecnologie e la sorella Susan è tra i massimi responsabili all’interno dell’azienda Google. Se si aggiunge al quadro famigliare anche il complessivo dei milioni di dollari versati da Google in 23andMe, diventano oltremodo chiari i forti legami che le parti hanno maturato, legami destinati a scatenare una serie di riflessioni a cui le aziende dovranno sottoporsi prima di compiere qualsiasi ulteriore passo comune.
Questi legami con Google e con il mondo del web hanno solleticato la nostra curiosità sull’argomento. Perchè occorre provare, per capire. E così abbiamo voluto fare: abbiamo ordinato il kit 23andMe, ci siamo sottoposti all’esame. Ora, con il senno del poi, possiamo a ragion veduta parlarne. Vogliamo parlarne. Forse, dobbiamo. Questo approfondimento, dunque, sia solo l’incipit di un discorso ben più lungo che intendiamo affrontare.
[nggallery id=76 template=inside]
Chi c’è dietro la 23andMe?
Al fianco della Wojcicki v’è Linda Avey: laureata anch’essa nell’ambito delle biotecnologie e da tempo impegnata in ambito medico, la Avey ha da sempre cercato un approccio particolare alla ricerca, approccio maturato in seguito nell’idea 23andMe e nelle particolari metodologie alla base di quanto posto in essere oggi dall’azienda con il suo particolare modo di rapportarsi agli utenti ed alla sensibilità di un argomento tanto importante. A completare il Board of Director 23andMe un altro nome già da tempo in stretto legame con il mondo della tecnologia: Esther Dyson nasce con la propria EDventure Holdings (poi venduta a CNet), ma nel proprio passato ha esperienze di importante rappresentanza all’interno dell’ICANN e della Electronic Frontier Foundation, nonchè investimenti in nomi quali Flickr, Del.icio.us, Orbitz, Medstory (oggi sotto l’ala protettiva Microsoft) e BrightMail.
Tre donne, dunque, a capo di un gruppo che ha respirato la rete fin dai propri albori. 23andMe, lo si può dire, ha il web nel proprio DNA. Ed è questa una importante chiave di lettura per capire come e perchè un servizio similare può incarnare una rivoluzione silente di impatto clamoroso.
Oltre alle persone, poi, vi sono i capitali. E sono fin da subito capitali ingenti. Il servizio, sebbene stia cercando una dimensione tale da permettere una gestione autonoma dell’impresa, necessitava di iniezioni importanti per attivare i meccanismi e la prima importante stampella è giunta da Google: il gruppo ha pesantemente (l’aggettivo sia commisurato alle dimensioni della startup, non a quelle di Big G) investito in 23andMe (consolidato i legami già intercorrenti tra le parti) apportando circa un terzo degli 8.9 milioni di dollari già raccolti.
La parte restante proviene dalla New Enterprise Associates (NEA), venture capital che ha inteso dar fiducia al progetto nella convinzione per cui entro breve l’analisi del DNA possa diventare un mercato redditizio e di grande ritorno per il proprio investimento odierno. Altri capitali giungono infine dalla Genentech, azienda vicina all’industria farmaceutica e delle biotecnologie impegnata direttamente nel progetto tramite la fornitura di materiale per il kit di raccolta della saliva.
A onor di cronaca occorre altresì segnalare il fatto che 23andMe abbia un approccio particolare alla materia, ma non è certo l’unico gruppo ad occuparsene. Tra i nomi più noti ad affiancare l’avventura di Linda Avey ed Anne Wojcicki figurano ad esempio:
- deCODEme: il funzionamento è molto simile a quello 23andMe, ma grossa differenza v’è ancora sul prezzo: mentre 23andMe è sceso ormai a 399 dollari per il singolo kit, deCODEme è fermo ancora a 985 dollari (al pari del precedente standard della concorrenza);
- Helix Health: la presentazione avvicina il test non tanto ad una utenza consumer, quanto più ad una utenza esperta costituita da medici che intendono avvalersi di questo strumento per offrire un migliore servizio ai propri pazienti. Non si pensa ad un test messo nelle mani direttamente della persona, ma si immagina una mediazione: il che cambia parecchio l’approccio ai risultati, la loro comprensione e l’impatto psicologico conseguente;
- Navigenics: la differenza è importante a partire dal prezzo: 2500 dollari per il test iniziale, 250 dollari annui per mantenere in vita l’abbonamento. In tale cifra è compresa una consulenza 24/7 per meglio interpretare i dati ricavati dal test, nonché un continuo aggiornamento sulle proprie predisposizioni e caratteristiche genetiche.
[nggallery id=76 template=inside]
Come effettuare l’esame
Una volta effettuato l’ordinativo occorrono poche settimane prima che il campione giunga a destinazione tramite corriere FedEx. Il pacco di imballaggio contiene a sua volta un piccolo pacco verde sulla cui facciata frontale è stampigliato un codice che identifica non la persona, ma bensì il campione che verrà inviato. Il legame tra la provetta ed i risultati non potrà dunque essere ricostruito se non dall’utente che segnala tale codice sul proprio account ed il gruppo raccomanda di evitare ogni collegamento diretto (tramite trascrizione) tra i due codici: solo così la privacy può essere garantita, facendo in modo che nessuno al di fuori dei laboratori di analisi possa avere elementi per ricollegare una provetta al suo legittimo proprietario.
La prima raccomandazione sulle istruzioni è proprio questa: attivare il proprio account sul sito 23andMe fornendo informazioni basilari e scegliendo una password che proteggerà il nostro codice dalle incursioni di persone terze non autorizzate. A questo punto l’esame può iniziare.
L’interno del pacco 23andMe è costituito da una provetta ad imbuto. Un apposito foro nella scatola permetterà di posizionare la base della provetta in modo che rimanga stabile e verticale. A questo punto occorre stimolare la propria salivazione e riempire l’unità fino al livello indicato: il quantitativo di saliva deve infatti essere sufficiente ad un esame completo. Seguendo le istruzioni, l’imbuto andrà a questo punto sigillato con un meccanismo che prevede il rilascio di un apposito liquido conservante che va a mescolarsi (tramite movimento “shaker”) alla saliva raccolta. Sebbene la documentazione allegata al kit non sia in lingua italiana, le istruzioni sono di facile intuizione seguendo semplicemente le immagini che illustrano i vari passaggi.
Il campione è pronto: una busta sigillata permetterà di trattenere la saliva anche nel caso in cui la provetta dovesse avere delle perdite ed una busta imbottita proteggerà il campione da urti ed agenti esterni. La provetta può riprendere il viaggio: una telefonata al corriere FedEx permetterà di concordare le procedure per l’inoltro ed il campione di saliva volerà in pochi giorni fin nei laboratori 23andMe oltreoceano (tutte le immagini della procedura sono consultabili nell’apposita gallery in allegato a fondo pagina).
L’esame richiede poco tempo (il gruppo dichiara un’attesa prevista di 4/6 settimane), poi una mail informerà della disponibilità dei risultati. A questo punto non servirà altro se non il proprio nick e la propria password per poter accedere tramite l’account ed a tutte le informazioni che, allo stato attuale della ricerca scientifica, è possibile ricavare dal DNA prelevato. I risultati non vengono dunque inviati (a garanzia massimale della privacy), ma possono essere consultati online accedendo in zona protetta.
Una precauzione va però consigliata: chi effettua il test dovrebbe avere l’accuratezza di tenere segreta la propria iniziativa: i risultati potrebbero non essere quelli graditi e potrebbero risultare problemi che si vorrebbe tener segreti. Una volta annunciata a tutti la propria “esuberante” iniziativa, però, si dovrà fare i conti con la curiosità di quanti vorranno saperne di più a tempo debito, al ricevimento dei risultati. Il silenzio a posteriori potrebbe non essere più sufficiente e si creerebbero situazioni di imbarazzo con amici e parenti. A questo punto la decisione dovrebbe essere a priori. Il consiglio è quello di agire con discrezione, avendo la possibilità e la libertà di poter rivelare la propria esperienza con il senno del poi.
[nggallery id=76 template=inside]
I risultati
Prepararsi. Quando arriva l’email che segnala la disponibilità dei risultati un piccolo groppo al cuore è cosa obbligata: con un click è possibile aprire una pagina contenente un segreto, rompere il sigillo ed aprire uno scrigno. Dentro, si sa, c’è roba preziosa. La curiosità si accumula in pochi secondi, impossibile resistere: il click è istantaneo ed immediatamente si accede a paginate dense di informazioni sulla cosa più cara ad ognuno di noi: noi stessi. Accedendo all’account si ha innanzitutto a disposizione una schermata riassuntiva che mette subito le carte in tavola: una sorta di semaforo mette le risultanze del DNA a confronto con la media della popolazione, permettendo così di capire intuitivamente se nel proprio codice vi possa essere una qualche sorta di “bug” che predispone il nostro corpo a qualsivoglia difetto.
Ma non c’è tutto in una sola paginata: la prima schermata può essere approfondita, leggendo così tutte quelle che sono le risultanze dell’esame in una dicotomia che intende distinguere l’importanza dei vari dati. Da una parte vi sono infatti i “Clinical reports“, dall’altra i “Research report“: i primi sono caratterizzati da una rispondenza clinica affidabile, i secondi da una ricerca in avanzamento progressivo nel quale un semplice ranking a stellette permette di capire quanto affidabile (o quanto appena indicativa) possa essere la lettura offerta.
Nei clinical reports vi sono allo stato attuale 10 parametri posti in evidenza:
- AMD, Degenerazione maculare della retina
- Artrite reumatoide
- Diabete tipo 1
- Diabete tipo 2
- Celiachia
- Psoriasi
- Cancro alla prostata
- Parkinson
- Trombosi venosa
- Morbo di Chron
Un trattamento particolare è riservato a patologie particolarmente delicate quali il Parkinson: il risultato dell’esame è protetto dietro una ulteriore forma di consenso esplicito per il quale deve essere l’utente loggato a scegliere se vedere o meno la propria predisposizione a maturare il problema. Nel caso specifico, infatti, una mutazione genetica apre a serie possibilità di contrarre la malattia, il che equivale non ad una diagnosi, ma a qualcosa che a livello psicologico può essere molto simile ad una sentenza.
I report legati alla ricerca contano invece ad oggi 68 ambiti, tra i quali Glaucoma, obesità, tumori al seno, dislessia, Lupus, Lou Gehrig, Sclerosi multipla, infertilità maschile, Neuroblastoma, ipertensione ed altro ancora. Per ogni singola ricerca viene indicata la data dell’ultimo aggiornamento e la classica colorazione rossa/verde ad indicare la gravità del problema rilevata nel DNA rispetto alla media.
Curiosa (e poco più, al momento) è inoltre la navigazione diretta all’interno dei geni alla scoperta del proprio genoma. Una tabella elenca i dati grezzi, i quali si rendono così navigabili e per ognuno è disponibile un link a fonti esterne utili ad approfondire le caratteristiche scientifiche del gene prescelto. Tale navigazione è poco utile all’individuo, ma è uno strumento del tutto valido per comunicare la trasparenza dei dati ed una visione di insieme completa.
I dati grezzi possono inoltre essere scaricati: oltre 500 mila linee di testo, qualcosa come 5Mb per avere il proprio DNA in formato .zip. E questo è per contro un servizio del tutto utile: significa avere in mano il proprio genoma e poterlo potenzialmente sottoporre alla ricerca ed all’interpretazione di entità esterne alla sola 23andMe.
[nggallery id=76 template=inside]
Mille e più interrogativi
L’introduzione dell’analisi genetica nella medicina è destinata a sconvolgere il concetto stesso di salute. Senza voler navigare nella fantascienza, ad oggi è cosa dovuta confrontarsi con quelle che saranno le conseguenze dell’arrivo sul mercato di servizi quali 23andMe.
Evitando in questa sede di approfondire ulteriormente l’argomento (ma vi sarà tempo e modo), è
facile elencare tutta una serie di interrogativi basilari che l’argomento stimola:
- Privacy: l’analisi del DNA apre al mondo esterno tutta una serie di informazioni molto delicate su di noi. Nel momento in cui il mondo esterno potrà avervi accesso pubblicamente (qualunque ne siano le modalità), molti aspetti oggi segreti della nostra vita potrebbero diventare totalmente trasparenti. Una compagnia di assicurazioni potrà sbirciare nel nostro codice prima di farci una polizza sulla vita? Un datore di lavoro potrà forzare un candidato per un colloquio ad aprire il proprio DNA al fine di valutarne le capacità? In che misura le case farmaceutiche potranno avervi accesso? Chi e come avrà il compito di custodire o utilizzare tali dati?
- E poi c’è Google. Il gruppo potrebbe utilizzare il DNA per unire inestricabilmente l’identità online all’identità reale, con un vero rapporto 1-a-1 tra persona ed account. Potrebbe altresì configurare AdSense così da colpire le persone loggate con pubblicità che meglio si addicono alle caratteristiche genetiche riscontrate. Fantasia? 10 anni or sono nessuno pensava ad una casella di posta da svariati Gb su cui una azienda avrebbe basato le proprie analisi per mostrare pubblicità mirate: perchè tra 10 anni, quando Google ritiene che l’analisi del DNA sarà «pratica comune», il gruppo non potrebbe voler fare altrettanto per ottimizzare il proprio rendimento? Occorre in questo contesto ricordare le frasi che pronunciò solo un anno fa Eric Schmidt, CEO Google, ai tempi dell’investimento in 23andMe: «gli algoritmi miglioreranno e miglioreremo la caratterizzazione delle persone […] l’obiettivo è di permettere agli utenti di Google di effettuare domande come “cosa farò domani?” o “che lavoro farò?”».
- Risvolti psichici e sociali: conoscere il proprio DNA è un’esperienza mistica. Significa andare oltre l’apparenza e scavare nel profondo: significa conoscere se stessi al di là dei sensi e delle sensazioni. Sapere di una mutazione genetica ereditata potrebbe cambiare rapporti umani, progetti per il futuro, lo stesso vivere quotidiano, il modo di guardare il mondo, il rapporto con un partner;
- Interpretazione dei risultati: quelli che forniscono gruppi come 23andMe sono risultati basati su studi in divenire, su statistiche e probabilità, su dati che anticipano e non possono sostituire alcuna diagnosi. Se però il ricevente non è adeguatamente istruito, quella che è una probabilità potrebbe essere concepita come una sentenza, il che aggiungerebbe pesanti problemi psichici ad eventuali problemi già in essere a causa di difetti genetici verificati.
- Disintermediazione della medicina: la disintermediazione è un fenomeno comune, ma quando c’è di mezzo la salute i dubbi in merito sono qualcosa di irrinunciabile. Quanto è sano un atteggiamento che spinge direttamente all’utente un kit per il prelievo del DNA? Quanto “evil” può essere un atteggiamento che cerca un profilo “consumer” per un ambito che su medici ed ospedali ha costruito la propria storia?
L’elenco potrebbe proseguire in modo quasi indefinito, estendendo ad ogni campo e ad ogni realtà il nuovo filtro interpretativo fornito dal genoma. I vantaggi sono sotto gli occhi di tutti, ma gli effetti collaterali potrebbero essere molto pesanti e potremmo non essere pronti ad affrontarli. Di qui la necessità di un approfondimento, di qui la necessità di una discussione estesa. Perchè il genoma riguarda ognuno di noi nella sua individualità, ma riguarda anche noi nella nostra organica complessità. È un fatto privato, ma è altresì un fattore in grado di cambiare sotto molti aspetti il profilo della nostra società e delle dinamiche su cui basiamo la nostra vita.
[nggallery id=76 template=inside]
La nostra proposta: 23eNoi
Se Webnews lancia un argomento apparentemente “border line” quale quello di 23andMe e tutto ciò che rappresenta, è perchè crediamo profondamente nell’importanza del tema. Da mesi vi stiamo appresso e da settimane abbiamo in mano l’account con i risultati di un DNA sviscerato. Ora capire è più facile.
Avremmo potuto chiudere la pratica con un post, avremmo potuto chiudere la frase con un punto. Invece vogliamo far diventare questo piccolo excursus un punto di partenza ed un punto di domanda. L’analisi del genoma, infatti, è qualcosa sul quale tutti dovremmo riflettere, perchè prima o poi ognuno di noi si troverà di fronte a questo interrogativo: voglio conoscere me stesso al di là di quello che vedo, odo e sento? Sono pronto a quel che potrei scoprire?
La risposta parte dalla rete, perchè è sulla rete che è possibile organizzare un movimento tanto di massa quanto particellizzato come quello cercato da 23andMe e simili. Ed è dalla rete che è infatti partito concettualmente il progetto. La proposta che si avanza, quindi, è quella di un brainstorming diffuso: chiunque senta di poter dare una propria risposta o un proprio contributo, lo faccia. Scriva sul proprio blog, commenti i blog degli altri, apra un sito, animi un forum. Ma lo faccia adottando una parola d’ordine comune: “23eNoi”.
Update: si segnala l’apertura del gruppo “23eNoi” anche su Facebook.
La scelta del tag non è ovviamente casuale: parte da “23andMe”, ma vuole avere connotazione sociale, proiettando l’importanza del DNA su una moltitudine e non su persone singole. Con questa piccola parola sarà possibile taggare tutti gli interventi sull’argomento, così che aggregatori e motori di ricerca abbiano buon gioco a trovare tutti i contributi. La discussione potrà così proseguire in modo massiccio, senza imporre alcun megafono: ognuno si senta libero di contribuire secondo le modalità che meglio preferisce, aggiungendo semplicemente l’etichetta “23eNoi” al proprio intervento.
Webnews farà altrettanto. “23eNoi” è già uno dei tag di questo approfondimento, e sarà il tag di tutti i futuri interventi in materia (seguiremo sul blog novità ed evoluzioni del settore). “23eNoi” vuole essere un piccolo ganglio, un riferimento comune che può morire in questo approfondimento come vivere dei contributi di tante persone che non vogliono farsi trovare impreparati dalle improvvise accelerazioni che la storia a volte impone. A tutti noi la scelta.
[nggallery id=76 template=inside]