Il primo virus della storia dell’informatica nasceva ben 25 anni fa, nel gennaio del 1986. Si trattava di Brain, un malware elaborato dai fratelli pakistani Alvi per piattaforme DOS. Ai tempi gli sviluppatori, che decisero di rivelare esplicitamente la paternità del virus, ammisero di aver compiuto questo passo per proteggere la riservatezza dei loro dati medici. Forse, però, non avrebbero mai pensato alla portata odierna del fenomeno, partito quasi per scherzo e diventato una vera e propria piaga soprattutto per la piattaforma Windows.
Brain fu pensato per colpire direttamente i floppy-disk, allora unità di archiviazione addirittura più utilizzata degli hard disk. Molti computer, infatti, non disponevano di un disco interno integrato, ma si avviavano proprio grazie a unità ottiche removibili. Il virus semplicemente rimpiazzava il boot sector del floppy con una copia di se stesso. Il codice dannoso, oltre a ridurre la capacità del disco a soli 7 kb, si caratterizzava per mostrare continuamente una frase, diventata presto il simbolo della storia del malware:
Welcome to the Dungeon © 1986 Brain & Amjads (pvt) Ltd VIRUS_SHOE RECORD V9.0 Dedicated to the dynamic memories of millions of viruses who are no longer with us today – Thanks GOODNESS!! BEWARE OF THE er..VIRUS : this program is catching program follows after these messages….$#@%$@!!!
In un periodo vivace per l’informatica quali sono stati gli anni ’80, i fratelli Alvi furbescamente inserirono nel virus anche i loro contatti, con l’implicita speranza di guadagno dalle richieste di aiuto degli utenti infetti e, non ultimo, nella credenza che qualche big del settore li avrebbe presto contattati:
Welcome to the Dungeon © 1986 Basit * Amjad (pvt) Ltd. BRAIN COMPUTER SERVICES 730 NIZAM BLOCK ALLAMA IQBAL TOWN LAHORE-PAKISTAN PHONE: 430791,443248,280530. Beware of this VIRUS…. Contact us for vaccination…
Da questo primo timido esempio, il mondo dei virus si è evoluto diventando via via sempre più pericoloso. Il malware si è infatti diviso in moltissime sottocategorie, come i trojan o gli spyware solo per citarne alcuni, e ben presto si è caratterizzato per una vena fortemente politica. La cultura del danno informatico, in effetti, si è sempre dimostrata in ampia contestazione con le grandi aziende di software, prima fra tutte Microsoft che, a causa delle aggressive strategie di dominio del mercato negli anni ’90, non si è certo guadagnata il sostegno dei criminali informatici.
Lo scenario odierno, invece, è mutato nuovamente. I grandi magnati del software sembrano essere ancora fra i principali obiettivi dei malintenzionati, ma il malware spesso assume forme più subdole, orientate non tanto a creare un disturbo ma soprattutto un vero danno economico. Grazie anche all’ausilio di Internet, tutto questo si è tramutato verso un’illecita attenzione ai dati sensibili, siano essi di personaggi di spicco o di persone comuni, o sull’interruzione dei servizi di aziende non gradite. Tracciamento delle abitudini di navigazione, clonazione delle carte di credito, veri furti di identità o attacchi DoS verso i più svariati portali sono ormai all’ordine del giorno.
Non stupisce, perciò, che la Rete si sia organizzata promuovendo dei veri e propri kit per il malware casalingo, delle vere e proprie “guide for dummies” con cui, per pochi dollari, chiunque può creare un disastro informatico senza una sostanziale infarinatura di programmazione. Chissà se, con il senno di poi, i fratelli Alvi rifarebbero il loro primo, e per i tempi straordinario, esperimento.