3D, il futuro è negli ologrammi

3D, il futuro è negli ologrammi

Fino a qualche anno fa, nell’ambito dell’intrattenimento, con il termine “tecnologie 3D” ci si riferiva alla possibilità di effettuare il rendering di modelli tridimensionali da visualizzare poi su uno schermo tradizionale, come nel caso dei videogiochi o dei film in computer grafica. Hanno fatto poi il loro debutto le prime TV capaci, mediante l’impiego di appositi occhialini, di inviare segnali differenti ai due occhi dell’osservatore, in modo da creare l’illusione di percepire la profondità delle immagini sul display.

È ora la volta dei primi dispositivi che sollevano l’utente anche da questo obbligo, come dimostrano la console videoludica Nintendo 3DS, alcuni smartphone 3D o le TV di prossima generazione annunciate da Toshiba. Più avanti toccherà agli ologrammi, almeno stando alle affermazioni del ricercatore giapponese Miyu Ozaki, rilasciate sulle pagine di Science.

Una nuova tecnologia permetterebbe infatti di generare immagini olografiche multicolore, in grado di mantenere le medesime caratteristiche indipendentemente dal punto di vista dell’osservatore. Si tratta di un significativo passo in avanti rispetto a quanto possibile oggi, con sistemi per la proiezione di ologrammi esclusivamente monocromatici oppure non in grado di riprodurre fedelmente l’oggetto raffigurato se non da una ben precisa angolazione.

La scoperta di Ozaki fa uso della luce bianca e sfrutta un principio chiamato diffrazione dei plasmoni, anziché dell’interferenza ottica, impiegando l’attività degli elettroni sulla superficie di sottili strati di metallo ricoperti da materiale fotoresistente, contenenti un ologramma generato con laser dei tre colori primari.

I tempi per il perfezionamento e la commercializzazione della tecnologia sono tutt’altro che brevi, ma le potenzialità non mancano. Per il momento, dai laboratori dell’istituto giapponese di Riken sono state diffuse alcune immagini 3D realizzate con il nuovo sistema, due delle quali (una mela e una rosa) visibili nell’immagine di apertura, mentre le altre sono raccolte nella galleria di Galileo su Flickr.

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