Dopo l’ultimo accorato appello firmato Gino Paoli, presidente della SIAE, è ancora tramite le pagine della Società Italiana degli Autori ed Editori che viene portato al grande pubblico un manifesto a favore dell’obolo richiesto per l’acquisto di dispositivi elettronici. C’è chi la chiama “tassa”, chi semplicemente “equo compenso”, ma di fatto trattasi di denaro imposto a chi acquista dispositivi elettronici dotati di memoria e pertanto potenzialmente utilizzabili per conservare una copia privata dei contenuti acquistati sotto tutela DRM.
Il tema è noto, ma spesso di non semplice comprensione. L’area grigia in cui va a posizionarsi, a metà tra la tutela del diritto d’autore e la guerra alla pirateria, ha determinato frizioni importanti tra pubblico e autori ed ora sono proprio questi ultimi ad alzare la voce per far fronte comune contro chi sta lottando per evitare ulteriori rincari di una somma già vissuta come un indesiderato aggravio.
Spiega la SIAE: «Il mondo della musica, quello del cinema e della televisione, autori e operatori di settore scendono in campo uniti per difendere il diritto di equo compenso per la copia privata, una delle misure necessarie e fondamentali che compensano autori e editori delle opere creative disponibili sui nuovi supporti tecnologici». L’iniziativa è stata così spiegata: «Circa 500 nomi illustri del mondo dello spettacolo di tutte le generazioni hanno sottoscritto un appello che parte dalla constatazione che “l’innovazione tecnologica permette di rendere sempre più accessibili i contenuti creativi” e di poterli “duplicare con grande facilità”. Con un destinatario specifico a capo della missiva: Dario Franceschini, neo-ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo.
Recita il testo:
I prodotti delle sempre più ricche multinazionali delle tecnologie vivono anche e soprattutto grazie ai contenuti creativi degli autori e degli artisti. Purtroppo il decreto del ministero dei Beni culturali che fissa le tariffe dell’equo compenso, in vigore dal 2009, è scaduto nel 2012 e non è stato più adeguato ai cambiamenti tecnologici sopraggiunti nonostante la previsione di legge. Un ritardo insopportabile che rischia di emarginare ancora di più la produzione culturale italiana dal resto dell’Europa, e di togliere futuro e opportunità alle nuove generazioni di autori e artisti. […] Il nuovo ministro dei Beni culturali approvi con la massima urgenza l’adeguamento dell’equo compenso per copia privata e che le nuove tariffe siano in linea con quei paesi europei, come Francia e Germania, che hanno attuato in questi anni politiche serie di sostegno e tutela della cultura nel pieno rispetto dello sviluppo tecnologico
Tra i 500 firmatari della lettera al ministro Franceschini, la SIAE cita a titolo esemplificativo nimi quali Renzo Arbore, Pupi Avati, Malika Ayane, Claudio Baglioni, Al Bano, Angelo Barbagallo, Franco Battiato, Pippo Baudo, Gianni Bella, Andrea Bocelli, Red Canzian, Caterina Caselli, Luca Carboni, Riccardo Cocciante, Paolo Conte, Paola Cortellesi, Maurizio Costanzo, Simone Cristicchi, Gigi D’Alessio, Maria De Filippi, Francesco De Gregori, Elisa, Roby Facchinetti, Fedez, Sabrina Ferilli, Tiziano Ferro, Elio Germano, Dori Ghezzi, Irene Grandi, Raphael Gualazzi, Francesco Guccini, Luciano Ligabue, Daniele Luchetti, Fulvio Lucisano, Neri Marcoré, Franco Migliacci, Riccardo Milani, Mogol, Enzo Monteleone, Gianni Morandi, Ennio Morricone, Nek, Gino Paoli, Laura Pausini, Piero Pelù, Max Pezzali, Nicola Piovani, Andrea Purgatori, Eros Ramazzotti, Danilo Rea, Antonio Ricci, Marco Risi, Renzo Rubino, Stefano Rulli, Claudio Santamaria, Cinzia Torrini, Maurizio Totti, Enrico e Carlo Vanzina, Antonello Venditti, Carlo Verdone, Renato Zero e Nina Zilli.
La palla passa dunque ora al ministro, chiamato direttamente in causa già a poche ore dall’incarico ricevuto in seno al nuovo governo Renzi: tocca a Franceschini individuare il giusto punto di equilibrio tra rischio e opportunità nell’aumentare le cifre relative all’equo compenso, sapendo di dover agire stretto tra due fuochi: la SIAE e i suoi autori da una parte (che vogliono scaricare l’obolo sui produttori di device, i quali trarrebbero giovamento dai contenuti nel vendere i loro prodotti), i produttori dall’altra (i quali mal sopportano di dover vedere aumentato il prezzo e ridotti i margini a causa dell’ingerenza di una società che pretende un pagamento a-priori, basato sul potenziale del dispositivo invece che sul suo reale utilizzo).