«Se ho visto più lontano, è perché stavo sulle spalle di giganti»
Se oggi possiamo con pochi click ricordare e rivivere quel 9 dicembre 1968, è perchè il 9 dicembre 1968 tutto ha avuto inizio. Come una scintilla, quel giorno ha dato origine a tutto quel che oggi facciamo qui, davanti a schermo e computer, con in mano uno strumento che da allora si è evoluto tanto nella tecnica quanto poco nel concetto. Perchè le rivoluzioni avvengono una volta ogni tanto, le evoluzioni invece tutti i giorni.
Allora era lunedì, 40 anni fa esatti. Il 9 dicembre 1968 fu un giorno speciale. Quel giorno, infatti, Douglas C. Engelbart salì sul palco del Convention Center di San Francisco. Chissà se si rendeva conto. L’occasione era quella della Fall Joint Computer Conference (FJCC) ed il dr. Engelbart aveva 90 minuti a propria disposizione. Oggi possiamo appena immaginare: la platea, lo strisciante entusiasmo che caratterizza l’atmosfera di tutti i grandi eventi, il brusìo prima di iniziare, il silenzio attento durante la presentazione. Oggi di quel giorno ci rimangono soltanto immagini in bianco e nero, ma le sensazioni rimangono immutate, immutabili. Quelli furono 90 minuti che capovolsero la storia dell’informatica. Quelli furono 90 minuti che cambiarono definitivamente il percorso della cultura e della società. Quei 90 minuti sono oggi riconosciuti come “la madre di tutte le demo“.
Nella presentazione che lo ha ascritto nella storia, Engelbart presentò il mouse. Le sue dita facevano vedere le rotelline sottostanti, ma la sua mente andava già oltre. Perchè dietro quelle rotelline c’era molto di più: lo schermo si disgregava e non era più costituito da una serie di caselle da riempire, ma diventava una superficie libera, un luogo, uno strumento estremamente più potente. Quel giorno nacque il mouse, ma quel giorno iniziò un percorso ben più ampio. E quelle rotelline girano ancora.
«Dobbiamo creare un ambiente evolutivo nel quale i paesi e le istituzioni possano crescere; in questo modo potremo risolvere i problemi a mano a mano che si presentano, unire attorno all’idea di come l’intelligenza collettiva possa trovare le soluzioni ai problemi del pianeta». Engelbart aveva un’idea precisa in testa: aumentare le potenzialità dell’intelligenza umana, fornire alle persone gli strumenti per velocizzare il reperimento delle informazioni ad i processi di risoluzione dei problemi. Strumenti, ecco cosa mancava: Engelbart aveva capito che occorreva estendere l’intelligenza, aprire le unità e considerare gli insiemi. Di qui, tutto.
Nella sua presentazione Engelnbart illustrò innanzitutto il mouse. Un piccolo cubetto con due rotelle sottostanti era in grado di simulare lo spostamento di un cursore su una superficie piana. Questa superficie diveniva pertanto metafora diretta dello schermo su cui si stava lavorando, e con la mano era dunque possibile effettuare uno spostamento libero attraverso lo spazio del video, senza che la consequenzialità dei caratteri, delle righe e delle colonne vincolasse la struttura e le informazioni.
Il mouse, però, non era un fine, ma uno strumento (ed egli stesso ne sminuiva l’entità contestualizzandolo concettualmente all’interno di un ben più vasto progetto): serviva semplicemente a muoversi rapidamente all’interno di una serie di “link”, elemento strutturale fondamentale dell’ipertesto. Il concetto teorizzato anni prima, dunque, trovava applicazione e diveniva a sua volta strumento al servizio della persona. Il mouse, inoltre, era in grado di editare il testo a schermo, il che portava ad un livello ulteriore il rapporto tra oggetto e soggetto, offrendo a quest’ultimo una capacità di “bricolage” prima irraggiungibile. Ma l’editing testuale non era a sua volta un tassello a sé stante: rientrava tutto nel nuovo concetto embrionale di “GUI” (Interfaccia Grafica Utente), una dimensione nuova nella quale l’informatica si immergeva completamente per la prima volta, e la collaborazione tra più utenti era parte integrante di questa nuova visione.
Engelbart (il quale depositò il proprio brevetto in data 21 Giugno 1967, n. 3,541,541) conferma una certa modestia anche nell’allontanare da sé ulteriormente la paternità dell’invenzione accreditandone la concezione hardware a Bill English: fu English a concepire l’idea delle rotelle, fu English forgiare il “topo” in un modo tanto lucido da essere ancora valido ed efficiente oggi.
«Come un UFO che atterra nel giardino della Casa Bianca»: c’è chi ha descritto così la presentazione di Engelbart, sottolineando il fatto che in molti credettero alla possibilità che fosse uno scherzo. Lo stupore rimase praticamente intatto per una decina d’anni, almeno fin quando non si decise che “pensare differente” fosse una pratica creativa e non solo un’illusione. Venne infatti l’epoca dello Xerox Parc e dei Macintosh, quando il mouse entrò a pieno merito nel concetto organico di “computer” per non uscirne definitivamente più.
Oggi il mouse è il più comune degli strumenti. La tecnologia in sé è cambiata parecchio, ma di per sé in questi 40 anni l’evoluzione è invece stata minima. Ripensare a quel 9 dicembre 1968, però, significa dover entrare in tutt’altra situazione: il computer era un miraggio della scienza e soprattutto ancora non era “personal”. L’idea del mastodontico ENIAC era ben più tangibile che non i progetti del prossimo LISA, e quella presentazione va vista con quell’ottica, quel fermento, quella voglia di cambiare le cose.
Con il passaggio all’ipertesto, si sa, tutto è cambiato. Sarebbe inutile ripercorrerne il percorso, ma è ormai chiaro ai più quanto la cosa abbia profondamente inciso nella storia e nell’evoluzione socio-culturale. Quei teoremi sono il seme da cui è nata la grande Rete (non a caso il sistema NLS – oNLine System – di Engelbart fu il secondo nodo di Arpanet) e quel 9 dicembre può tranquillamente esserne il simbolo unitario. Quei 90 minuti possono tranquillamente essere, insomma, il riassunto emblematico e significativo di ciò che in quegli anni stava maturando. Ci volle più di un decennio, poi, per metabolizzare tutto quel che Engelbart andava pensando ormai dai primi anni ’60, fin dalle letture sul “Memex” di Vannevar Bush, fin dalle prime riflessioni sul rapporto tra l’uomo e la macchina, fin dai primi pensieri sull'”Augmentin Human Intellect“.
Steve Jobs e Bill Gates non hanno fatto altro che sedersi sulle spalle dei giganti. I decenni seguenti sono i loro (non senza contrasti con i “padri fondatori” di una certa linea filosofica sull’informatica), ma quelli che oggi ammiriamo come guru del postmoderno non sono altro che coloro i quali hanno avuto l’onore di raccogliere ciò che altri hanno anzitempo seminato. Da questo punto di vista, molti sono i “guru” seduti sulle spalle di Engelbart, e la storia non potrà che renderne dunque merito.
Oggi di Engelbart ci rimangono le vecchie immagini, qualche scheda su Wikipedia, alcune testimonianze ed il sito web del suo Bootstrap Institute. Ma non solo: nel 2008, all’età di 83 anni, Engelbart è ancora attivo. A distanza di 40 anni da quel 9 dicembre 1968 tutta una serie di commemorazioni stanno per avere luogo a memoria di un giorno che ha visto accendersi una luce che ci illumina ancor oggi. Non possiamo sapere se il protagonista primo di quella giornata giungerà mai su queste pagine, né se qualcuno potrà mai tradurgli la nostra lingua, ma almeno in questa chiusura useremo la sua: thanks, thanks Douglas Engelbart.
Impugno il mouse: un ultimo click ed il più grande degli ipertesti ha questa nuova, ennesima, pagina in più.