Uno dei segni più forti circa la leadership di una compagnia sul mercato è la trasformazione del suo marchio in una parola di uso comune. Sono poche le aziende che hanno avuto questo onore: Xerox, Kleenex, CocaCola, Martini; più recentemente è stata la Spam, produttrice americana di carne in scatola, a vedersi suo malgrado associata alle e-mail spazzatura che inondano le caselle di posta elettronica.
Nel 2002, l’American Dialect Society ha scelto come neologismo più utile il verbo “to google“, divenuto ormai sinonimo di “fare ricerche online”. È il segno ultimo della leadership di Google nel campo dei motori di ricerca. La compagnia di Mountain View, però, sembra non apprezzare questo riconoscimento.
Paul McFedries, titolare del sito dedicato ai neologismi WordSpy.com, ha ricevuto una e-mail nella quale l’ufficio marchi di Google lo invita a rimuovere la definizione del verbo “to google”; secondo quanto riportato sull’e-mail, la compagnia vuole «essere sicura che quando le persone utilizzano la parola “Google” si riferiscano ai servizi forniti dalla […] compagnia, e non alle ricerche Internet in generale».
«Questo è un classico esempio di cosa accade quando la crescita della lingua tocca gli interessi proprietari di qualcuno», ha commentato Frank Abate, in passato curatore del New Oxford American Dictionary. «Certo che google è un verbo utilizzato. E perché non dovrebbe? Ha senso, è breve, è divertente, funziona».
McFedries, pur riconoscendo Google come marchio registrato, non ha alcuna intenzione di cancellare la definizione, ma ha paura di incorrere in qualche grana legale. Ma Abate lo rassicura: «Quello che gli avvocati di Google sanno, ma non dicono, è che la compagnia […] non può fare nulla, legalmente, sull’utilizzo di un verbo».