Sul mercato ormai da 40 anni, con numerosi successi alle spalle – ma anche qualche inciampo – Acer ha il vanto di essere nell’annovero di quei pochi produttori vicino ai vertici del mercato per un lungo periodo, in particolare nel comparto business. Inoltre, dal 2009, è il secondo produttore di PC al mondo.
Tuttavia, ora che il mercato tecnologico sta radicalmente cambiando, con la flessione inesorabile anche dei sistemi notebook e l’arresto della crescita del segmento smartphone, è tempo per Acer – come per altri produttori – di cominciare a rivedere le proprie strategie. Ed è proprio questo il tema della Acer Global Press Conference 2016, come ha indicato Jason Chen, CEO di Acer Corp.: per poter sopravvivere, l’azienda taiwanese deve intraprendere un cambiamento profondo.
La visione
Quel che Acer ha presentato, oggi, alla stampa internazionale, presso il cinquantasettesimo piano del World Trade Center 4 di New York è il frutto di questa nuova rotta, e soprattutto rappresenta non un punto di arrivo bensì di partenza.
La nuova strategia punta anzitutto alla rete di tecnologie disponibili piuttosto che ai singoli dispositivi, per proporre al pubblico inedite soluzioni ibride ma dallo scopo ben preciso. BYOC (build your own cloud) è l’acronimo nato per l’occasione.
Ne è un chiaro esempio l’Xplora X5, definito come un biking computer dotato di telecamera. Non un semplice GPS, quindi, né un trainer per la bici, tantomeno una actioncam. O meglio, tutto questo, ma anche di più. Quel che fa la differenza, nelle mire di Acer, è il modo in cui tali tecnologie possono contribuire a regalare un’esperienza d’uso unica. Ed ecco che l’Xplora 5x monitora il percorso, pone sfide, segue il battito cardiaco comunicando con l’apposita fascia per il torace e, infine, attiva la videocamera in momenti clou della pedalata (ad esempio, quando la velocità aumenta o il battito cardiaco sale oppure in presenza di punti di interesse), così da registrare un condensato dei momenti migliori della propria performance.
C’è poi l’interessante GrandPad (forse, giusto il nome sarebbe rivedibile), un tablet semplificato pensato per gli over-75, in grado di facilitare la comunicazione con i familiari grazie a un’apposita app iOS/Android che figli e nipoti potranno usare per ricevere e inviare messaggi e contenuti.
Il presente
Ad ogni buon conto, non si vive di soli progetti. C’è anche un presente a cui pensare, nel quale Acer riveste un ruolo importante, come detto, nel comparto business, ma anche in quello consumer e mobile.
È per questo che la lista di novità è lunga, a cominciare dal comparto mobile: Liquid Zest Plus, smartphone dotato di ottica con tri-focus system a laser, face detection e contrast detection e di una incredibile batteria da 5000 mAh; Liquid Jade Primo with Continuum, telefono Windows 10 Mobile corredato di apposita base per il collegamento a un monitor o a un notebook per usare lo smartphone come un PC; Liquid Lip Fit, l’armband con personal coaching system e controllo continuo del battito, che permette di impostare i propri obiettivi di miglioramento e di avere report a fine giornata.
C’è poi il comparto consumer, dove la gamma Predator, numero uno in diversi mercati nel segmento gaming, si rafforza con due macchine: il G1, un sistema desktop VRready dal consueto design aggressivo, ma molto compatto e soprattutto basato su processori Intel core i7 di sesta generazione e scheda grafica GeForce Titan X; il 17x, desktop replacement – sempre VRready –anch’esso basato su Intel core i7 di sesta generazione, GPU GeForce GTX 980 e con tre ventole, di cui una frontale che aspira aria.
Nel medesimo comparto c’è spazio anche per il 2-in-1 Switch Alpha 12, l’ibrido con stand per schermo basato su Intel core i di sesta generazione e dotato dell’innovativo Double LiquidLoop Cooling System, un sistema di raffreddamento a liquido che sfrutta l’espansione del gas in esso contenuto escludendo l’uso di parti meccaniche per lo scorrimento del liquido stesso.
A cavallo fra consumer e business, Acer punta su un ultraslim come l’Aspire S 13, nel tentativo di proporre al mercato un contendente del MacBook a metà prezzo: 0,57 pollici di spessore, Dolby Audio, corpo in alluminio e contorni diamond-cut e, naturalmente, processori Intel core i di sesta generazione.
Decisamente business, invece, il nuovo Chromebook 14 for Work con backcover in vetro Gorilla Corning Glass personalizzabile, progettato in base a standard militari definiti dall’esercito degli Stati Uniti per durezza, resistenza e adattabilità.
Acer vista da dentro
L’esperienza sui prodotti è, nel complesso, positiva, sebbene manchi una vera e propria innovazione. Basterebbe già di per sé l’atteggiamento volto al cambiamento per far ben pensare, tuttavia resta un po’ di amaro in bocca. Quel che è certo, però, è che Acer non lesina nello sforzo per ottenere la massima qualità, fattore che il pubblico sa recepire molto bene. Lo dicono i numeri stessi.
In questa fase di passaggio fra tradizione e innovazione, per approfondire sulla nuova visione e le strategie di Acer, abbiamo scambiato due parole con Massimo D’Angelo, Vice President EMEA Operations & Regional Head South Europe:
Cominciamo con un bilancio in merito al rapporto tra Acer e il mercato italiano?
Personalmente, ho vissuto gran parte dei primi 40 anni di Acer: sono in azienda da 1997, mentre i sette anni precedenti li ho trascorsi nella divisione Mobile di Texas Instruments, poi acquisita proprio da Acer. Sono dunque un po’ la mente storica di un periodo denso di molti cambiamenti. Acer nasce nel 1976 come Multitech. Il passaggio al nuovo nome e al nuovo logo suggerisce una suddivisione in diversi cicli. Il primo è costituito dal passaggio dei prodotti da “computer” a “personali” tra la fine degli anni ’80 e gli anni ’90. Il secondo arriva con la democratizzazione dei dispositivi, diventati alla portata di tutti e non più solo legati all’ambito lavorativo, all’incirca tra il 1995 e il 2000. Il terzo e ultimo è invece legato a Internet, che ha connesso tutti questi computer cambiando la vita di tutti aprendo una nuova era.
Qual è stato il ruolo di Acer proprio in questo passaggio?
Acer ha prima cavalcato l’onda del desktop, poi quella del computer che si è fatto portatile, senza dimenticare la linea Aspire che ha portato i PC da tavolo nel segmento consumer, per la famiglia. Erano prodotti con colori strani, bizzarre tonalità verdi, che davano un’idea di “visionario”. A questo si affiancano i prodotti per il business. Ricordo che, quando ero già in Acer, fummo la prima azienda a mettere il modem su tutti i notebook, indipendentemente che fossero entry-level o di fascia alta. Ripensarci oggi fa sorridere, ma all’epoca era un’idea avveniristica. Tecnicamente è stata una sfida: il corpo andava ingegnerizzato e bisognava valutare i costi.
Acer è sempre riuscita a fare innovazione con tecnologie rilevanti, non come puro esercizio stilistico fino a se stesso, ma con un certo pragmatismo. È anche questo che ha permesso all’azienda di operare per 40 anni e di entrare in mondi che si sono succeduti. Si parla di un mercato che è sempre cresciuto, mentre dalla seconda metà degli anni ’00 si è appiattito. Le cause sono molteplici, ma innanzitutto l’avvento degli smartphone, una tipologia di prodotto collegabile a Internet e funzionale per il consumo dei contenuti, in qualche modo ha tolto quel “ruolo da prima donna” che aveva il PC.
Questo ha costretto l’azienda a ripensare le proprie strategie?
Questo ha costretto l’intero mondo dell’informatica a vedere il business con occhi un po’ diversi, anche perché dopo il 2010 il mercato ha imboccato un trend negativo. Nel 2014, analizzando i dati CFK, anche in Italia il totale della spesa per il segmento consumer è stata la stessa del periodo 2006-2007. Quindi le persone comprano meno PC? No, lo cambiano meno spesso.
Quando si è in una fase espansiva si vende un prodotto nuovo a chi non ce l’ha e un altro a chi lo vuole sostituire. Inizialmente, però, le vendite sono rivolte a chi cerca un primo acquisto. Poi c’è un momento in cui il ricambio ha una certa frequenza, ma quando il mercato è saturo e arriva alla sua maturità, la quantità di vendita anno per anno è proporzionale a quando tempo un utente mantiene il proprio computer. Prima la media erano due o tre anni, oggi si arriva a quattro anni. È una grande differenza, pari al 25%. Questo ha comportato una serie di cambiamenti per tutta l’industria. I piani di tutti sono cambiati, perché è difficile pensare di espandere un business all’interno di un mercato che non cresce. È un business maturo, da gestire con un approccio attento, dotato di sistemi informativi molto sofisticati, bisogna essere in grado di controllare bene ciò che accade tra l’inizio e la fine.
Nei nuovi business, invece, serve un atteggiamento più da startup, innovativo e con un modo di pensare fuori dagli schemi, commettendo anche qualche errore. Il core business, invece, è più maturo e va gestito con maggiore attenzione.
Sembra mancare del tutto la next big thing quindi molti produttori, voi compresi, tendono a puntare su una tecnologia specifica o quanto meno a enfatizzarla nelle proprie strategie di marketing. Nel caso di Acer, sembrerebbe la realtà virtuale. La ritenete strategica o trainante per i prossimi anni?
Si tratta di un segmento importante, che probabilmente in futuro andrà a soddisfare diverse esigenze. La realtà virtuale, ma anche la Internet of Things e l’approccio aperto alle connessioni saranno certamente driver che evolveranno il nostro modo di vivere.
Per questo c’è la nuova divisione Nuovi Business che integra le parti cloud, smartphone, Leap, Xplora per la bicicletta. La realtà virtuale, al momento, abbiamo cercato di supportarla all’interno del core business. È troppo presto per dire cosa accadrà in futuro.
Ha menzionato Xplova X5, un ibrido fra tecnologie già esistenti unite sinergicamente per offrire qualcosa di originale. È una strategia indirizzata solo al settore del fitness o questo modo di sperimentare è il cambiamento che Mr. Chen ha indicato all’azienda?
Sicuramente la seconda. La divisione Nuovi Business rimarrà divisa e distinta da Core Business perché deve guardare a cose che ancora non ci sono. Oggi abbiamo Leap Fit, un braccialetto: mi ricordo che qualche anno fa li si vedeva come un cambiamento epocale, ma così non è stato. Bisogna innanzitutto capire qual è l’uso che vogliono fare le persone di questi prodotti.
Penso che Jason Chen abbia posto l’accento su altri aspetti importanti, pragmatici: l’età media in tutto il mondo sta aumentando, una situazione sociale da non sottovalutare e che porterà nel mercato ad un aumento di utenti che hanno necessità diverse da quelle dei più giovani. Bisognerà considerare ad esempio dispositivi con tasti più grandi o prodotti per l’accesso a soluzioni mediche remote. Se Xplova fa parte dell’area sport, l’altro ambito di estremo interesse è quello dell’health care.
Anche l’automotive sarà importante. Già nel 2015 abbiamo presentato soluzioni per quadricicli elettrici, ad esempio per la gestione delle batterie. Nel 2050 sarà un mondo diverso, con le auto che si ricaricheranno in modalità contactless dall’asfalto e guideranno autonomamente. Sono territori in cui bisogna sperimentare, con uno spirito da startup.
Il GrandPad è un’idea interessante. Tempo fa ci fu l’ondata dei telefonini con grossi tasti, ma non hanno ottenuto il successo sperato. È un prodotto destinato anche al mercato italiano? Pensa che l’Italia possa essere ricettiva?
Sì, arriverà anche in Italia, ma penso sia presto per dire se il nostro Paese sarà ricettivo. Stiamo comunque parlando di nicchie ed è necessario tenere in considerazione anche fattori psicologici. Se le dicessi che le sto dando un prodotto con i tasti grandi perché lei non è nel pieno delle sue facoltà mentali, probabilmente lo rifiuterebbe per non volerlo ammettere.
Bisogna innanzitutto verificare se alcuni prodotti riescono effettivamente a risolvere dei problemi senza però crearne di altre, trovando il modo giusto di proporli attraverso i canali corretti: quelli generalisti potrebbero non essere i più adatti. Servirà dunque uno studio attento.
Si tratta comunque di idee fresche. Anche le acquisizioni o joint venture annunciate sono novità che appartengono alla divisione Nuovi Business.
In merito al business classico, l’Aspire S13 colpisce anzitutto perché sottile, ma se la dovrà vedere con concorrenti come Apple: al di là del prezzo, che è il cavallo di battaglia del prodotto, cos’altro può conquistare il pubblico?
Confrontarsi con un concorrente dal punto di vista di dati finanziari, valore di borsa e conti economici è giusto perché le due aziende occupano lo stesso settore, ma quando un utente acquista un Apple non sono certo che potrebbe valutare l’acquisto di un prodotto concorrente.
Non penso ad un confronto tra Aspire S13 e un computer Apple, che dal mio punto di vista non è nemmeno il migliore prodotto sul mercato. Prendiamo in considerazione il MacBook Air: all’inizio era leggendario, ma è rimasto sempre lo stesso e gli altri sono arrivati a creare dispositivi simili. La differenza non c’è più. Apple rimane un ecosistema, un mondo a parte, con tanti estimatori.
C’è un segmento che sta crescendo molto: il segmento di tutto ciò che è “diverso”. In un mercato piatto o in decrescita, chi perde davvero è il PC classico, mentre tutti gli altri, compresi 2-in-1 e convertibili, sono in crescita. Si tratta ancora di mercati piccoli, ma il notebook tradizionale è passato dal 100% al 75%.
Aspire S13 è un prodotto che dice: “Vuoi cambiare PC? Ti offro un motivo per farlo”. È più leggero, più sottile, più leggero, più economico. Un dispositivo che tra gli 800 e i 900 euro offre caratteristiche eccezionali e con una buona batteria. Se lo possono permettere tutti, mentre 1.500 euro per un MacBook Air li hanno in pochi.
Quando avevamo il nostro Aspire S7, ne abbiamo venduti pochi, costava a listino 1.800-2.000 euro. In una certa fascia di prezzo il prodotto non basta più, serve anche altro. Quindi, l’unica realtà che oggi riesce a vendere in quel target è probabilmente Apple.
Il discorso cambia nel settore gaming, dove proponiamo Predator. Quello non è un prodotto che deve stupire, lì sono importanti le specifiche. In quel caso l’acquirente è molto informato, sa esattamente cosa sta comprando, sceglie con attenzione, non ammette punti deboli. Sono persone che spendono anche 3.000 per un dispositivo, ma che dev’essere eccezionale, senza sbavature. Non importa se il tuo nome non è “da Rolex”, perché si cercano caratteristiche e specifiche molto precise.
Chen ha dichiarato che nel core business di Acer, quello per le realtà professionali è al primo posto, seguito dal settore consumer. Questo vale anche per l’Italia?
Sì, vale all’incirca in tutto il mondo, con qualche variazione in base alle aree geografiche. Ad esempio, in Italia il retail offrono prodotti consumer e i rivenditori quelli business, mentre in altri paesi come la Cina ci sono tanti piccoli rivenditori che portano le soluzioni commerciali anche ai consumatori. In alcuni luoghi è possibile fare una distinzione canale-prodotto più precisa, più matura, mentre in altri è un po’ più complicato. Il cambiamento non supera comunque mai il 10%. La forbice tra i due comparti, a grandi linee, è rimasta sempre la stessa.