Quando David Crane fu assunto all’Atari nel 1977, la compagnia aveva appena completato il processo di maturazione, da start-up della Silicon Valley a multinazionale orientata al mercato di massa dell’intrattenimento. Nolan Bushnell, lo storico fondatore, era stato costretto a vendere alla Warner per procurarsi i fondi necessari al lancio del VCS.
Racconta Crane:
All’inizio era un posto magnifico in cui lavorare, creavamo giochi all’avanguardia e si definivano gli standard di una nuova industria. Ma la nostra creatività fu presto soffocata dalle logiche di una grande azienda che cura esclusivamente i bilanci, il nuovo CEO voluto da Warner aveva molto poco in comune con la mentalità di noi programmatori, continuava a promettere bonus e incentivi che non intascammo mai. La gratificazione in un ambiente di lavoro è fondamentale, e il mio umore era già abbastanza basso. Quando lessi che i giochi di cui avevo curato lo sviluppo e di cui ero l’unico responsabile avevano fatto incassare alla società decine di milioni di dollari mentre io lavoravo nel completo anonimato con un salario di $20,000. Qualcosa non quadrava, era evidente.
David Crane non era l’unico insoddisfatto e insieme ai suoi colleghi Larry Kaplan, Alan Miller e Bob Whitehead, forti del fatto di aver realizzato il 60% dei giochi per VCS che avevano portato introiti per 100 milioni di dollari in un solo anno, decisero di chiedere un riconoscimento economico per il loro lavoro ma il CEO Ray Kassar li guardò negli occhi e gli rispose: “Per l’Atari voi contate esattamente come chi lavora in catena di montaggio ad assemblare le console”. A questo punto la rottura fu inevitabile.
Non era la prima volta che dei programmatori decidevano di lasciare la casa madre, ma in genere ciò aveva il solo scopo di avviare una trattativa individuale in cui praticamente si diventava “fornitori esclusivi” e, continuando a svolgere lo stesso lavoro, si riusciva a spuntare qualche soldo in più.
Crane e soci avevano in mente una mossa molto più ambiziosa (e rischiosa): fondare una compagnia che avrebbe sviluppato e distribuito i propri giochi in modo del tutto indipendente da Atari. L’Activision nacque ufficialmente nell’agosto del 1979.
Prima di allora, qualunque videogame per console era stato pubblicato esclusivamente dall’azienda produttrice del sistema per il quale era destinato.
I primi giochi di Activision arrivarono sugli scaffali già nel 1980 ma l’Atari intraprese una lunga battaglia legale accusando la neonata software house di aver violato il copyright e altri diritti esclusivi. “Atari aveva comprato pagine di riviste in cui ci dipingeva come criminali, quando noi stavamo solo dando seguito alle nostre scelte”, ricorda Crane.
Le accuse di Atari non trovarono fondamento e Activision fu completamente operativa (e legittimata) solo a partire dal 1982. La politica era chiara: puntare sulla qualità, creare un brand, valorizzare la figura del designer-programmatore.
Le confezioni dei giochi, oltre ad essere appariscenti, sul retro riportavano sempre uno screenshot (cosa niente affatto scontata per l’epoca) per dimostrare al consumatore che stava acquistando un prodotto di qualità. Inoltre, una pagina del manuale di istruzioni era sempre dedicata allo sviluppatore del gioco e spesso il giocatore era invitato a spedire la foto del suo hi-score per ricevere dei gadget.
In questo modo fu centrato il duplice obiettivo di accattivarsi le simpatie del pubblico e reclutare nuovi talenti.
Complice la crisi del mercato console del 1983, Activision rivolse presto la propria attenzione agli home-computer, in particolare al Commodore 64, continuando a mietere successi.
Cresceva anche l’esposizione sulle riviste specializzate e furono avviate vere e proprie campagne pubblicitarie: una delle più famose e controverse fu la così detta Activision Swap che apparve in numerosi magazine durante il 1984. Questa pubblicità ritrae due ragazzini in cui uno dice “ìll swap four of my tapes for your Activision” (che tradotto un po’ liberamente sta per: “Ti do in cambio quattro dei miei giochi per il tuo Activision”) e l’altro risponde “No Way!” (“Scordatelo!”)
Questo spot fu accusato di essere presuntuoso e arrogante ma era nato proprio per sottolineare che i prodotti Activision avevano una marcia in più rispetto ai concorrenti e che questa differenza gli utenti la notavano.
Durante la trentennale storia di Activision bisogna ricordare alcune tappe fondamentali:
- la fusione con Infocom (leader delle avventure testuali) nel 1986;
- gli insuccessi quando si avventurò in un campo diverso dai videogiochi (con il nome di Mediagenic) che le fecero rischiare la bancarotta;
- l’acquisizione di Raven Software nel 1997;
- la recente fusione con Vivendi (proprietaria della Blizzard) e il cambio del nome ufficiale in Activision Blizzard;
- ma soprattutto una serie infinita di capolavori che vanno da Pitfall a Guitar Hero (sarebbe impossibile elencarli tutti e ognuno meriterebbe un post!);
Riflettendo sull’importanza del ruolo svolto da Activision nell’industria del videogame, David Crane dice:
Ho recentemente presieduto alla Game Developers Conference
e con non poca soddisfazione pensavo che il 95% fra tutti i presenti lavora per società di terze parti che creano e pubblicano software in modo indipendente.