Il gruppo ADD (Anti Digital Divide) ha chiesto fin dalla propria fondazione che la Banda Larga fosse inclusa all’interno del Servizio Universale, il contratto che lega l’incumbent alle istituzioni elencando gli obblighi ai quali è necessario ottemperare nella prestazione del servizio. A distanza di anni il tema è sempre più attuale, dimostrando la bontà della battaglia intrapresa e delle modalità proposte dal gruppo per raggiungere l’obiettivo indicato. ADD si compattò ai tempi tramite forum e incontri il cui filo comune era il medesimo: la raccolta del disagio a cui nessuno dava voce. Ed era un disagio che nasceva dal digital divide, dall’Italia di provincia tagliata fuori dalla copertura della banda larga. Era un disagio che viaggiava a 56k e che urlava il bisogno di un intervento immediato.
A distanza di anni l’associazione ha riformulato la propria richiesta per ridare sostanza ad un punto interrogativo al quale le istituzioni, con colpevole ritardo, stanno badando soltanto ora che il problema è ormai cronico ed i danni sono manifesti. Spiega l’associazione: «Il Servizio Universale è “la fornitura di un insieme minimo definito di servizi a tutti gli utenti finali a prezzo abbordabile”. Le prestazioni inserite nel Servizio Universale devono essere fornite obbligatoriamente. Essenzialmente è previsto l’obbligo di fornire un servizio di telefonia fissa e un accesso efficace alla rete. Diverse testimonianze, sia dirette sia riportate sul nostro Forum negli anni, fanno emergere come spesso non venga considerata fattibile neppure una richiesta di allacciamento telefonico fatta in un centro abitato, dove spesso troviamo la presenza di apparati quali MUX, UCR e simili, installati dagli operatori (generalmente Telecom Italia, proprietaria della principale rete telefonica italiana), allo scopo di aumentare virtualmente il numero di linee disponibili. Queste installazioni avrebbero dovuto essere temporanee, per assecondare improvvisi aumenti di utenze nei quartieri, in attesa di espandere la disponibilità direttamente in centrale. Purtroppo ne esistono ancora a centinaia secondo la nostra mappatura, ma chissà quanti altri sono ancora in esercizio. Questo comporta in numerosi casi l’impossibilità, da parte di nuovi utenti, di attivare persino il normale servizio di telefonia fissa per assenza di ulteriori risorse, a meno di non sostenere in prima persona ingenti costi aggiuntivi, discriminatori rispetto ai costi sostenuti dagli altri utenti e sproporzionati rispetto al servizio offerto».
E ancora: «Il codice delle comunicazioni elettroniche, Art. 58, stabilisce che l’Autorità Garante può designare una o più società per fornire il Servizio Universale. Allo stato attuale, nonostante siano passati 6 anni dall’entrata in vigore della normativa, in Italia un’unica società privata è la principale incaricata di fornire il Servizio Universale nella sua globalità. La nostra Associazione chiede che, finalmente, il Servizio Universale sia aperto a tutti gli operatori e non solamente a Telecom Italia. Affinché gli operatori alternativi abbiano la possibilità di ottemperare al Servizio Universale devono essere dati loro spazi e risorse necessarie a tale scopo, in molti casi infatti, a causa dello stato di degrado e di scarsa manutenzione in cui versa la rete nazionale (fatto dimostrato anche da diverse inchieste televisive di Report e Le Iene), a causa della presenza dei dispositivi limitanti citati in precedenza ed a causa della mancanza di opportuni spazi nelle centrali questi non possono montare i proprio apparati. Tali limitazioni oltre a non consentire il rispetto degli obblighi del Servizio Universale impediscono anche lo sviluppo di una reale concorrenza, drogando il mercato e danneggiando utenti e operatori alternativi».
La proposta è stata approfondita oltre. Seguono, pertanto, i dettagli.
Anti Digital Divide parte dalla definizione contenuta nelle normative, ove il concetto di efficacia apre alla possibilità di rivedere il modo in cui il Servizio Universale è oggi interpretato: «In Italia si è passati dalla normativa 318 del 1997, in cui vi era il riferimento ad internet del lower boud dei 2400 bit/s, velocità bassissima utile appena all’invio di fax, ad una definizione più generica nell’Art. 54 del Codice delle Comunicazioni del 2003: “La connessione consente agli utenti finali di effettuare e ricevere chiamate telefoniche locali, nazionali ed internazionali, facsimile e trasmissione di dati, nel rispetto delle norme tecniche stabilite nelle Raccomandazioni dell’UIT-T, e deve essere tale da consentire un efficace accesso ad Internet“».
«Mentre le raccomandazioni UIT-T rappresentano dei valori di riferimento precisi e standardizzati nell’ambito delle comunicazioni, il concetto di “accesso efficace” ad Internet risulta essere lacunoso e di dubbia interpretazione. Tuttavia alla luce di alcune domande, diversi dubbi vengono fugati:
- è efficace per uno studente aspettare 2/3 ore per scaricare delle dispense?
- è efficace per un fotografo, con connessione a 56k, impiegare ore per caricare o scaricare le foto in formato digitale? Gli permette di concorrere efficacemente con un fotografo di un paese vicino che ha a disposizione l’adsl?
- le Imprese italiane prive di collegamento a banda larga saranno efficacemente competitive nei confronti delle aziende straniere che possono contare non solo sulla su banda larga, ma ultra larga grazie ad una maggiore diffusione e miglior uso della fibra ottica?
- è efficace una connessione a banda stretta per sfruttare adeguatamente la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione? È possibile concretizzare l’e-government senza un accesso davvero efficace ad internet?
La risposta a queste domande può essere solo una: NO!».
La proposta ADD è quindi la seguente:
«ADD chiede al governo italiano e ad AGCOM di riconoscere, come avvenuto in Finlandia e Spagna, la banda larga come diritto fondamentale con la sua introduzione nel Servizio Universale. Con la nostra proposta il rischio di distorsione viene fortemente limitato, se non superato, perché prima si lascerà spazio al mercato e solo in assenza di questo, ci sarà l’intervento pubblico atto a stimolare gli investimenti privati. La nostra proposta è di inserire nel Servizio Universale la velocità di 1280/256 Kbit/s. A questa va affiancata una velocità minima garantita (MCR), ma, vista la complessità del tema, ci pare più corretto discuterne con tutti gli attori del settore, prima di indicare una velocità specifica. La velocità 1280/256 Kbit/s è presa in ragione del fatto che già Finlandia e Spagna l’hanno adottata; naturalmente nulla vieta di stabilire una velocità superiore, ad esempio 2 Megabit o più, come indicato nel rapporto Caio o dal Ministro Brunetta. Per rendere meno traumatico questo passaggio agli operatori e limitare i costi, si può prevedere l’obbligo di ottemperare alla fornitura di banda larga solo se sussiste, nella zona da coprire, un determinato numero di utenti pronti a sottoscrivere un abbonamento:
- 2010 almeno 30 utenti
- 2011 almeno 20 utenti
- 2012 almeno 10 utenti
- Dal 2013 nessun numero minimo di sottoscrittori
Chiude il documento ufficiale ADD:
«Raggiunto un numero di 30 unità e verificato che la loro zona non è servita dalla banda larga, gli utenti potranno rivolgersi, direttamente o tramite associazioni, all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni. Sul sito dell’Autorità verrà predisposta una sezione dedicata con tutte le notizie e gli strumenti necessari in cui gli utenti inseriranno i dati richiesti. Successivamente alla presentazione di domanda di copertura da parte degli utenti, AGCOM darà comunicazione che nella zona X è stato raggiunto il limite minimo di utenti, previsto nel Servizio Universale, per la copertura a banda larga. A questo punto verrà lasciato spazio al mercato: tutti gli operatori interessati a fornire banda larga (attraverso fibra ottica, ADSL, Wi-Max, Wi-Fi) avranno 30 giorni di tempo per presentare una loro proposta di copertura. Se entro 30 giorni non viene presentata nessuna proposta, necessiterà un intervento pubblico, che stimoli e sostenga la copertura. Si creerà una società mista pubblica/privata (che potrebbe chiamarsi Impresa Banda Larga, IBL) con all’interno un rappresentante del Governo, AGCOM, Infratel, Cassa Depositi e Prestiti, operatori nazionali di telefonia fissa/mobile, associazioni di utenti ed altri soggetti interessati. La società sarà aperta a tutti gli operatori che vi vorranno partecipare, questi avranno notevoli vantaggi sia in termini di costi sia di abbattimento di vincoli e burocrazia. Le nuove infrastrutture create dalla società saranno neutrali ed avranno condizioni di accesso e regole che varranno per tutti gli operatori. Per gli operatori che entreranno nella società e contribuiranno alla costruzione delle infrastrutture saranno previsti degli incentivi-benefici particolari, limitati ad un determinato periodo di tempo.
Viste le problematiche attuali (crisi economica che taglia i fondi a disposizione degli operatori da dedicare agli investimenti, la situazione debitoria di Telecom e il delicato riassetto che sta subendo), nella nostra proposta abbiamo cercato di limitare il più possibile i costi per gli operatori. Il nostro obiettivo primario è quello di garantire un minimo di accesso a banda larga a tutti gli utenti e ci auguriamo che tutti, enti pubblici, operatori, utenti, mettano il massimo impegno per perseguirlo.
Siamo del parere che Telecom Italia dovrebbe dimostrare un grande impegno in questo progetto.
È l’operatore con la maggior quota di mercato, in alcuni ambiti può benissimo essere chiamato ancora monopolista e percepisce un canone telefonico che giustifica come necessario a manutenere ed ammodernare la rete. Anti Digital Divide gradirebbe molto, a tal proposito, avere un resoconto analitico di come i circa 4 miliardi di euro che Telecom percepisce ogni anno dal solo canone vengono impiegati. Abbiamo provato a chiederlo più volte, senza ottenere risposta. AGCOM ha recentemente concesso addirittura un aumento del canone, quindi ne ha sicuramente analizzato i “conti”: cogliamo l’occasione per chiedere che tali dati vengano resi pubblici. La nostra proposta rappresenta una sorta di ultima chiamata per Telecom per tentare di evitare lo scorporo della rete o la separazione funzionale sul modello inglese, una delle poche opzioni (se non l’unica), in grado di garantire una reale apertura del mercato e un rapido sviluppo della banda larga (purtroppo alcuni recenti sviluppi stanno gettando ombre anche sull?ipotesti di scorporo della rete).
Franco Bernabè, AD di Telecom, come i suoi predecessori afferma che lo scorporo non è necessario e non è stato realizzato in nessun altro mercato. Dimostri con i fatti queste sue affermazioni, appoggiando la proposta di Anti Digital Divide di introduzione della banda larga nel Servizio Universale e impegnandosi a garantire un effettivo accesso paritario alla rete Telecom a tutti gli operatori concorrenti, altrimenti che scorporo sia e nel minor tempo possibile».
Con una promessa: la proposta verrà inviata nelle prossime ore direttamente all’AGCOM: «chiederemo di indire una consultazione pubblica per discutere dell’introduzione della banda larga nel Servizio Universale anche in Italia, così come previsto dal Codice delle Comunicazioni Elettroniche».
ADD ha sollevato per prima in Italia, in tempi non sospetti, il problema del digital divide come piaga inaccettabile per i problemi economici, sociali e culturali che comporta. Attorno al simbolo dell’associazione si è materializzato un problema che prima scorreva soltanto in sostrati silenti ed invisibili. Il merito dell’associazione è quello di aver dato voce ai singoli, misurando con largo anticipo quello che sarebbe diventato un problema a cui oggi politica e Confindustria guardano trafelati per l’urgenza di un intervento. A distanza di anni la proposta di allora è ancora attuale. A prescindere dai dettagli, dalla forma e dalle modalità di intervento (che l’associazione stessa apre alla concertazione con gli attori del mercato), il dovere di Corrado Calabrò è oggi quello di prestare attenzione ad una associazione che merita tutto il credito guadagnato in anni di imperterrita militanza.