Dopo una lunga malattia è mancato Jean Baudrillard, sociologo di grande importanza che ha affondato nel postmodernismo le radici dei propri studi. Nel momento in cui Baudrillard viene a mancare è utile se non altro ricordarlo attraverso alcuni principi espressi nel tempo in relazione al rapporto con i nuovi media, verso i quali più volte aveva indirizzato l’obiettivo delle proprie analisi per i pesanti riflessi che i media stessi riversano sulla società e sugli individui (con riferimento specifico ai «simulacri» di cui l’iperrealtà dei nuovi media si nutre e che hanno ispirato i fratelli Wachowski nella creazione del mondo di Matrix).
Questi, dunque, alcuni spunti tratti da una intervista rilasciata nel lontano 1999 a Mediamente. Trattasi di brani di non immediata comprensione, forse, ma dotati di una forte carica significativa che a distanza di 8 anni mantiene intatto tutto il proprio valore:
«Sì, certo, la realtà è già scomparsa in certo modo, ma perchè essa in fin dei conti, non è mai altro che l’effetto di uno stimolo, di un modello. C’è un modello di realtà, un principio di realtà, che è stato costruito e che si può scomporre molto rapidamente. […] Ciò che viene chiamata la realtà virtuale ha senza dubbio un carattere generale e in qualche modo ha assorbito, si è sostituita alla realtà nella misura in cui nella virtualità tutto è il risultato di un intervento, è oggetto di varie operazioni. Insomma tutto si può realizzare di fatto, anche cose che in precedenza si opponevano l’una all’altra: da una parte c’era il mondo reale, e dall’altra l’irrealtà, l’immaginario, il sogno, eccetera. Nella dimensione virtuale tutto questo viene assorbito in egual misura, tutto quanto viene realizzato, iper-realizzato. A questo punto la realtà in quanto tale viene a perdere ogni fondamento, davvero si può dire che non vi siano più riferimenti al mondo reale […] Nel virtuale ci si immerge, ci si tuffa dentro lo schermo. Lo schermo è un luogo di immersione, ed ovviamente di interattività, poichè al suo interno si può fare quel che si vuole; ma in esso ci si immerge, non si ha più la distanza dello sguardo, della contraddizione che è propria della realtà».
«[…] nella dimensione virtuale non c’è più nè soggetto nè oggetto, ma entrambi, in via di principio, sono elementi interattivi. Parlo in termini un po’ approssimativi perchè non appartengo completamente a questo mondo, non ne faccio parte, ma in ogni caso posso parlarne nonostante tutto, e mi sembra di vedere determinate cose che succedono al suo interno. In questo universo il soggetto non ha più una sua posizione propria, una condizione vera, in quanto soggetto, di un sapere o di un potere o di una storia. C’è invece un’interazione, che vuol dire in fin dei conti uno svolgimento o un riavvolgimento di tutte le azioni possibili. Nella realtà virtuale tutto è effettivamente possibile, ma la posizione del soggetto è pericolosamente minacciata, se non eliminata».
«In relazione allo spazio si ha l’impressione che esso si moltiplichi nel mondo virtuale, che si abbia la capacità di abbracciare tutti gli spazi possibili; per quanto riguarda il tempo, al contrario, si percepisce una contrazione straordinaria, la quale fa sì che tutto si riduca all’istante dell’operazione che avviene in quel momento particolare, e che subito dopo non vi sia più ricordo. Beninteso, dico questo non per nostalgia di un oggetto perduto, anche se da un punto di vista esistenziale l’abbiamo effettivamente perduto, ma in base a termini dettati da una situazione diversa, del tutto originale, della quale però non abbiamo i mezzi per poterne prefigurare compiutamente le conseguenze».