Filtri, controlli parentali e altre tecnologie di monitoraggio potrebbero essere inefficaci per impedire agli adolescenti di accedere a contenuti per adulti disponibili online. È quanto svela una ricerca pubblicata la scorsa primavera dall’Oxford Internet Institute dell’Università di Oxford, e tornata in auge sui media in questi giorni, pronta a sottolineare come non solo questi sistemi siano inefficaci nella maggior parte dei casi, ma anche come rappresentino degli elementi di ben poca importanza nell’esposizione dei più giovani a materiale non adatto per la loro età.
Gli adolescenti moderni, in quanto nativi digitali, passano gran parte del loro tempo connessi, approfittando di una moltitudine pressoché infinita di dispositivi. Sebbene i sistemi di filtraggio e i controlli parentali siano ormai molto diffusi, sembra non risultino particolarmente efficaci nel limitare l’esposizione dei teenager a contenuti sessualmente espliciti.
I ricercatori dell’Università di Oxford, guidati dall’autrice Victoria Nash, hanno voluto analizzare quali siano le problematiche delle tecnologie di blocco online, concentrandosi su diversi fattori. Analizzando dei dati di larga scala provenienti dalle dichiarazione sia degli adolescenti che dei loro tutori, si tratti dei genitori o di altri soggetti, si è indagato quanto frequentemente i più giovani vengano esposti a materiali espliciti anche in presenza di blocchi Internet. Dall’analisi è emerso come i filtri siano sostanzialmente inefficaci per impedire la visione di contenuti non ammessi: il 99.5% delle esposizioni al porno, infatti, è avvenuta indipendentemente dall’impiego di speciali tecnologie.
Quando la ricerca è volontaria, nella maggior parte dei casi gli adolescenti sono stati in grado di aggirare i blocchi, ad esempio sfruttando nuove forme di condivisione fra i pari che eludono le barriere dei filtri. Quando la ricerca non è volontaria, e quindi l’adolescente si trova di fronte all’improvviso a immagini o video a tripla X, si sospetta che la ragione sia relativa alla sempre maggiore abilità di alcuni provider online di sviare le limitazioni.
Emerge poi un altro fattore, da tenere debitamente in conto per comprendere la decisione delle famiglie di applicare, o evitare, un sistema di filtraggio: quello dell'”overblocking”. In molti casi, infatti, sembra che le tecnologie di controllo includano anche elementi del tutto legittimi, come informazioni scientifiche o mediche su sessualità e affini, censurando così siti che invece sono ammessi dagli stessi genitori.
La ricerca non vuole ovviamente demonizzare questi strumenti di prevenzione, che oggi potrebbero risultare necessari per quasi il 77% delle famiglie. Lo studio vuole concentrare le proprie attenzioni sull’esigenza di sviluppare nuovi sistemi, più efficaci e al contempo equi, costantemente aggiornati affinché possano adattarsi in modo repentino alle nuove sfide del Web. Così spiega Nash:
Speriamo che questo studio possa stimolare un ripensamento dei target di efficacia per le nuove tecnologie, prima che vengano rilasciate agli utenti. Dal punto di vista delle misure, dobbiamo focalizzarsi su interventi il cui funzionamento è comprovato per proteggere i nostri filtri. Sebbene i filtri internet possano apparire intuitivamente come una buona soluzione, delude che l’evidenza li smentisca.