Ricevono il primo dispositivo mobile a 12 anni, sono connessi quasi 24 ore su 24, utilizzano lo smartphone come dispositivo universale. Tra i social, prediligono Instagram e WhatsApp a discapito di Facebook che riscuote via via meno consensi (anche se tutti questi prodotti sono in realtà della stessa famiglia). C’è un sondaggio sulla nuova generazione di minorenni che ha il pregio di dire qualcosa di concreto e stabile sulle loro abitudini: è una ricerca condotta per sei anni su un campione di 2.000 tra ragazze e ragazzi dai 10 ai 15 anni dei comuni della Brianza.
Questi dati provengono dal lavoro della società Massere che da alcuni anni grazie alla collaborazione di ULI – Utility Line Italia si occupa della sicurezza dei minori sul web con un approccio né allarmistico né “poliziesco”, ma analizzando le risposte anonime dei ragazzi per poi andare nelle classi e fare della formazione sui problemi emersi. I capitoli sui pericoli, sempre aggiornati anche a livello legislativo sono familiari: sexting, cyberbullismo, vamping (l’incapacità di prendere sonno di notte perché si continuano a spedire messaggi e aggiornare il profilo), l’Internet disorder, il selfie estremo, la nomofobia (lo stato di ansia che si prova quando la batteria del cellulare scende sotto un certo livello). Tendenze che si scontrano con il bisogno, dichiarato dai più giovani, di avere sicurezza, di stare lontani dalle aggressioni e dalle estorsioni via web.
Le statistiche
Nel dettaglio le statistiche raccolte in questi anni in questo campione del nord Italia rivelano che la maggioranza dei ragazzi riceve il loro primo cellulare tra i 10 e i 12 anni (lo smartphone è diventato il classico regalo della Prima Comunione mentre fino a qualche anno fa lo era della Cresima). Una tendenza in crescita: dal 48% dei 10-12enni nel 2010, al 59% nel 2013, al 69% nel 2016. Diminuisce la percentuale di coloro che ne dispongono nella fascia 13-15 anni: 28% nel 2010, 21% nel 2013, 6% nel 2016. In questo periodo di tempo i ragazzi si sono sempre più connessi. Erano l’8% nel 2010, il 67% nel 2013, mentre il 96% degli intervistati nel 2016 afferma di disporre di connessione 24/24. Una crescita impressionante. Predomina e in crescita l’utilizzo dello smartphone: dal 2% nel 2010, al 42% nel 2013 e 62% degli intervistati nel 2016. Tendenza che è inversa per quanto riguarda i notebook e i pc, sempre meno utilizzati dalle persone in età scolare.
Tra i social, cresce la diffusione di Instagram: dal 5% del 2014 al 55% del 2015 al 61% del 2016, e di WhatsApp, dal 15% del 2014 al 45% del 2015 al 96% del 2016. Ciò a discapito di Facebook: 55% nel 2014, 50% nel 2015, 42% nel 2016. In calo anche Twitter, peraltro di per sé già poco diffuso: 8% nel 2014, 3% nel 2015, 2% nel 2016. Ambivalenti i dati su regole e apprendimento di utilizzo dello strumento. Si amplia la fascia di ragazzi i cui genitori concedono un tempo massimo di utilizzo: 15% nel 2010, 25% nel 2013, 33% nel 2016. In calo coloro che affermano di “non avere regole”, seppure il dato rimane alto: 70% nel 2010, 63% nel 2013, 61% nel 2016. Si riduce la fascia di chi afferma di avere imparato a navigare: dal 55% del 2014 al 48% del 2016. All’opposto cresce il numero dei genitori che dichiara di farsi carico di insegnare: dal 14% del 2014 al 24% del 2016.
Informatici, psicologi e giuristi
Quando Andrea Massa, ingegnere informatico, ha cominciato qualche anno fa ad occuparsi della sicurezza dei minori rispetto agli strumenti online era partito dalla formazione per l’uso strumentale corretto. Aveva e ha tuttora molto senso, se si considera che la quasi totalità degli insegnanti utilizza elementi tecnologici anche se, nella maggior parte dei casi (55,36%), si tratta di strumenti base (il computer) e spesso piuttosto datati, stando alle ultime statistiche rilasciate in occasione della Giornata dell’insegnante (domani). Insieme a quell’approccio col tempo ha aggiunto anche uno staff di psicologhe – Stefania Sedini e Nicole Ventura – e poi un avvocato. Giovani anche loro, impegnati e interessati all’educazione, hanno di fatto anticipato la norma sul cyberbullismo – ora ferma al Senato e calendarizzata in dicembre – nella parte che invita la scuole a “promuovere attività di prevenzione e contrasto del fenomeno attraverso attività con professori e studenti” e che inoltre assegna in ogni istituto scolastico un docente che svolga la mansione di referente.
«La norma spinge le scuole a cercare formazione presso le associazioni ed è quello che facciamo noi», racconta Massa, «pensando che certi fenomeni di dipendenza, di uso scorretto, di rischi potenziali, debbano essere contrastati a scuola e senza colpevolizzare niente e nessuno». Nel campione piccolo ma rappresentativo del loro progetto in Brianza, l’esperienza dice che in una classe di 25 ragazzi delle medie o delle superiori, almeno uno di questi ha partecipato a un incontro al buio organizzato online, mentre molti di più hanno vissuto esperienze dirette di messaggi di sexting o di tentativi di adescamento. E poi è sempre più misurabile nei giovanissimi la difficoltà a staccare dai social e dalle chat, e altri fenomeni per cui è necessario dare anche ai loro genitori strumenti per riconoscerli e intervenire.
Questo tipo di associazioni e la loro attività sarà probabilmente destinata a crescere sotto l’impulso della nuova legge se e quando verrà approvata dal Parlamento. A quel punto si potrà valutarne l’efficacia su scala ancora maggiore.