Affaire Yahoo!: indagato l'ex presidente

Ultimi risvolti dell'affaire Yahoo!: ricade sulle spalle di Tom Koogle l'accusa di istigazione al razzismo. Le nazi-aste ripropongono la questione dei confini territoriali di Internet
Affaire Yahoo!: indagato l'ex presidente
Ultimi risvolti dell'affaire Yahoo!: ricade sulle spalle di Tom Koogle l'accusa di istigazione al razzismo. Le nazi-aste ripropongono la questione dei confini territoriali di Internet

Tom Koogle finisce alla sbarra per crimini contro l’umanità. Il tribunale correzionale di Parigi si riconosce competente per giudicare il fondatore ed ex Presidente di Yahoo! per le nazi-aste che hanno avuto luogo sul portale californiano. Sta per essere scritto un importante capitolo sui confini territoriali della Rete.

Toom Koogle, in effetti ha lasciato la carica di Presidente a maggio del 2001, ma all’epoca, il cosiddetto affaire Yahoo! si era in gran parte già consumato.

Koogle paga per l’affaire Yahoo!

Ora il fondatore del portale di Santa Clara pagherà di persona per non aver fatto rispettare l’ordinanza del Tribunale parigino alla sua azienda.

Sull’ex Presidente del portale più visitato del Web pende il rischio di 5 anni di galera e di 45 800 € di multa.

Secondo la decisione disattesa del giudice francese, Yahoo! aveva 3 mesi di tempo, a partire dal novembre del 2000, per impedire l’accesso ai cittadini francesi alle pagine con contenuti a sfondo razzistico. Ogni giorno di ritardo sarebbe costato al portale 15.200 € di ammenda.

La decisione è caduta nel nulla per la difficoltà (per non dire l’impossibilità) di apporre materialmente barriere territoriali alla Rete. Ma gli ostacoli di carattere pratico sono stati solo secondari. Con le nazi-aste di Yahoo è andato in scena uno scontro tra due tipi di sensibilità e due concezioni diverse della libertà online.

La guerra dei princìpi

Il reato francese di commercializzare oggetti che incitano all’odio razziale non trova alcun corrispettivo negli Stati Uniti, dove la libertà di espressione è difesa ad oltranza. Il primo emendamento della costituzione americana proibisce di censurare qualsiasi manifestazione del pensiero sulla base dei contenuti.

I server di Yahoo! sono sottoposti solo alle leggi americane, essendo localizzati in California. Di conseguenza la libertà di pensiero ha vinto il primo round, ma le associazioni anti-razziste che hanno scatenato i giudici francesi contro la commercializzazione di cimeli nazisti, non ci stanno.

Ora l’UEJF e la Licra sono riuscite ad allestire un nuovo processo con un alto valore simbolico, che possa dargli quantomeno una vittoria sul piano morale. Anche perché le nazi-aste di Yahoo! non sono che la punta dell’iceberg del razzismo online e la decisione andrà a costituire un importante precedente.

Non solo Yahoo!

Il vecchio continente periodicamente fa i conti con il suo recente passato e li fa a modo suo. Quando i fantasmi ritornano gli Stati europei tentano di cacciarli indietro con la censura e l’autocensura.

Celebre il caso di Isis. L’ISP tedesco, di fronte alla crescita dei siti xenofobi, aveva deciso di impedire l’accesso ai siti dell’odio, per ritornare subito dopo sui suoi passi.

Altre volte la risoluzione dei contrasti nati intorno a contenuti xenofobi sono state del tutto fortunose. Il Wipo ha scompaginato la sua giurisprudenza per riassegnare alla Germania i nomi di dominio simili a quelli di istituzioni tedesche che puntavano su siti nazisti localizzati negli USA.

Saranno le soluzioni episodiche a segnare gli incerti confini (non solo territoriali) della Rete? Le regole statali, essendo ancorate ad un principio di territorialità, sono una coperta troppo corta per il World Wide Web: il rischio è che penda ora da una parte, ora dall’altra.

Rete globale e regole locali

La strada delle regole comuni, sinora non ha condotto a niente di buono. Il Consiglio d’Europa (composto dagli Stati europei, in aggiunta agli USA, Canada Giappone e Sud-Africa) a novembre non ha trovato alcun accordo sul razzismo, lasciando i contenuti xenofobi fuori dal Trattato sul Cyber-Crimine.

Ma lo scontro non è scomparso. Ce lo ricorda l’ultimo strascico dell’affaire Yahoo! e la bozza pubblicata dal Consiglio d’Europa sul razzismo online.

Se le resistenze del nord americane hanno impedito ai 43 Stati di creare una politica criminale comune sui siti dell’odio, l’Unione europea ci riprova. Il 10 febbraio ha presentato una seconda versione del protocollo addizionale al Trattato sul Cyber-Crimine, con cui il vecchio continente vorrebbe estendere fino al limite estremo i principi del controllo e della censura sul razzismo.

Heirik Kaspersen, Presidente del Comitato di esperti che hanno lavorato alla stesura del documento, promette che prima dell’estate arriverà la versione definitiva del documento. Per il momento però il dibattito sulla xenofobia online è appena iniziato e le posizioni rigide registrate dalle nazi-aste di Yahoo! ci fanno toccare con mano gli esiti paradossali di una Rete globale con regole locali

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