«Occorre mettere all’ordine del giorno il tema della tutela dei contenuti editoriali su Internet, con soluzioni che tutelino contemporaneamente il diritto del pubblico alla diffusione della conoscenza e non soffochino le potenzialità della Rete». Parola di Giovanni Pitruzzella, Presidente dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, il quale rivolgendosi a Governo e Parlamento invoca un intervento normativo sul comparto per consentire di fatto all’editoria di poter approcciare con maggiori garanzie alla nuova era della distribuzione online.
La lettera non lesina ampie aperture alla Rete, alle opportunità che consente ed alle potenzialità che apre, ma di fatto guarda ad un mercato che osserva la Rete non certo senza malcelati timori. Il testo compie insomma una lunga perifrasi di descrizione del contesto per poi arrivare al dunque: regolamentare il rapporto tra l’editoria e Google News, l’aggregatore che più di ogni altro veicola il traffico tra le fonti principali di informazione e che più di ogni altro viene quindi messo all’indice da quanti si trovano a dover confrontare il proprio modello di business con il ranking individuato dagli algoritmi di Mountain View.
Recita il testo firmato dal presidente Pitruzzella:
La progressiva diffusione di internet ha ampliato notevolmente gli ambiti attraverso i quali possono essere reperite e lette le notizie e ha radicalmente modificato la catena di valore riferita alla diffusione delle informazioni, la quale è oggi popolata da soggetti nuovi che convivono con quelli tradizionali. Alle edizioni online dei giornali pubblicati in versione cartacea si affiancano, infatti, le testate attive esclusivamente online, i portali internet, i social networks, i gruppi pubblicitari dedicati alla rete, i c.d. service providers dedicati all’informazione su apparecchi specifici, come smartphones o e-book, nonché i c.d. “news aggregators”, che ricercano e catalogano, secondo criteri di rilevanza tematica, le notizie che potrebbero interessare i rispettivi visitatori. Fra tali nuovi operatori, alcuni propongono sezioni dedicate ai principali avvenimenti, in cui sono contenuti articoli firmati o notizie riportate dalle principali agenzie di stampa. In altri casi sono riportate le notizie diffuse dalle principali agenzie di stampa o titoli di articoli con rinvio, mediante link, al giornale online in cui la notizia è pubblicata.
Il timore espresso dall’AGCM è pertanto relativo al fatto che gli editori sono sì in grado di monetizzare il proprio lavoro sulle proprie pagine, ma al tempo stesso non hanno alcun controllo sul valore ulteriore che lo sfruttamento (tramite aggregazione) delle proprie notizie è in grado di esprimere nel momento in cui la notizia fuoriesce dal limite ristretto del sito Web originario:
Gli editori, pur potendo percepire i ricavi della raccolta pubblicitaria realizzata sulle pagine dei propri siti web, non sono messi nelle condizioni di condividere il valore ulteriore generato su internet dalla propria attività di produzione di informazione, nonostante la diffusione di contenuti giornalistici rappresenti uno dei servizi di maggior interesse per gli utenti di internet e, dunque, un importante driver della domanda sulla rete. L’Autorità rilevava che da questa situazione potrebbe derivare un disincentivo alla produzione ed elaborazione di contenuti informativi a livello socialmente desiderabile. In altri termini, potrebbe porsi un problema di esternalità tale da ostacolare la corretta allocazione delle risorse, con effetti negativi sull’efficienza delle attività della produzione e diffusione di contenuti giornalistici.
L’Authority, insomma, si schiera di fatto dalla parte degli editori nel momento stesso in cui solleva il problema e lo pone all’ordine del giorno. L’AGCM non propone però in questa fase alcuna soluzione ad un problema che certifica e che vorrebbe veder in qualche modo risolto. Al fine di stimolare immediatamente il dibattito, la lettera suggerisce ad esempio l’approccio francese con l’istituzione di un fondo da 60 milioni di euro, ma ne stigmatizza l’adozione per una incongruità di principio: «sembrano configurarsi come forme generiche di compensazione, piuttosto che come misure volte ad assicurare lo sviluppo nel tempo di nuove modalità di sfruttamento delle risorse offerte dalla rete». Il modello tedesco, nonché la prima proposta francese sul linking, portano in seno concreti vantaggi, ma al tempo stesso mettono in ballo regole eccessivamente restrittive e di difficile interpretazione, tali da costituire un rischio più che una opportunità.
Il ragionamento affronta inoltre anche il problema contrario: regole che vadano a limitare la funzione e la remunerazione degli aggregatori andrebbe a disincentivare il lavoro di uno stakeholder la cui opera è particolarmente preziosa proprio per la presenza online degli editori: cosa sarebbe dell’informazione online se gli aggregatori non contribuissero a divulgarla e promuoverla?
Deve aggiungersi, peraltro, che un eccessivo irrigidimento dei sistemi di protezione potrebbe comportare effetti negativi per le stesse imprese editrici: l’introduzione di siffatte norme potrebbe disincentivare gli aggregatori a rendere il proprio servizio, con conseguente perdita di visibilità per i contenuti di stampa.
L’Antitrust non pone vincoli, non detta soluzioni e non suggerisce percorsi: rileva soltanto le criticità del problema ed auspica un dialogo più ampio e fattivo nel quale le istituzioni possano dire la loro con decisione. Il problema, secondo l’AGCM, sussiste e non può più essere ignorato: affrontarlo in modo consapevole sarebbe il modo migliore per fare un passo in avanti verso una soluzione che possa accontentare tutti. I consumatori, in primis.