Questa mattina, Corrado Calabrò, Presidente dell’AGCOM, ha tenuto la sua relazione annuale in Parlamento. L’intervento, che è andato in diretta anche su Twitter, si è focalizzato prevalentemente sullo stato della banda larga italiana. Molto dure le parole del Presidente dell’AGCOM che ha sottolineato il forte ritardo digitale del nostro Paese e che l’Italia rischia seriamente la “Serie B” della banda larga. C’è poco da scherzare ora, non siamo di fronte all’ennesimo studio che lascia il tempo che trova, perché i moniti lanciati oggi da Corrado Calabrò sono molto gravi.
Internet in Italia è al palo, la banda larga classica, quella su doppino è ferma e non si sta evolvendo come dovrebbe. Peggio ancora gli italiani sembrano non aver compreso l’utilità della grande rete e la sfruttano solo parzialmente e quel poco male.
Il ritardo è purtroppo culturale, internet infatti per molti è solo sinonimo di Facebook e social network e non si fa nulla per stimolare gli italiani ad approfondire l’uso della grande rete.
Ma se il presente della banda larga classica italiana è pessimo, anche il futuro non sorride, visti i gravi problemi che si stanno riscontrando in tema di NGN, le future reti di nuova generazione su fibra ottica, di cui purtroppo arrivano ogni giorno notizie negative.
Spesso si è invece definita la banda larga mobile come la punta di diamante delle TLC italiane. Questo è vero, agli italiani l’internet in mobilità piace molto, tuttavia anche in questo settore si sta crescendo male. Se infatti presto non verranno assegnate nuove frequenze agli operatori, le rete mobili risulteranno sature.
Lo scenario è pessimo, ma a questo punto che fare?
Corrado Calabrò sottolinea che è tempo di agire, e auspica che l’intervento pubblico non si estenda solo alle aree a fallimento di mercato, ma anche nelle altre aree, sempre ovviamente rispettando le regole Europee. Proprio in tal senso, la collaborazione con la Cassa Depositi e Prestiti risulterà fondamentale, viste le altre cifre in gioco. Inoltre sarà importante fissare obbiettivi comuni per far convergere gli investimenti in aree precise.
O si interviene subito, oppure l’Italia rischia di non rispettare gli impegni presi con l’Agenda Digitale Europea.