Il servizio studi del ministero dei trasporti ha pubblicato un report sullo stato di avanzamento lavori dell’agenda digitale, aggiornato al 27 maggio, dopo il question time alla Camera che ha visto protagoniste ben due interrogazioni sull’argomento. Il documento spiega meglio di tante parole il clamoroso ritardo, su tutto: Agenzia senza statuto, niente fascicoli elettronici, niente certezze sul bando smart city, niente decreti attuativi sugli scavi per la banda larga, niente via libera ai fondi per gli sgravi fiscali alle startup.
Il commento più lucido, sintetico, è quello di Stefano Quintarelli, che appena ricevuto – in qualità di parlamentare – il documento ha richiamato sul suo blog le stesse conclusioni uscite proprio da quel confronto parlamentare col ministro Zanonato:
Dopo averlo visto, mi si rafforza la convinzione che sarebbe bene la responsabilità fosse concentrata e sotto la presidenza del consiglio.
Il monitoraggio dell’attuazione dell’agenda digitale dà conto dell’attuazione del decreto-legge n. 179/2012 – quello che contiene le prime disposizioni in materia di attuazione dell’Agenda digitale italiana – e quello n. 83, per intenderci il Decreto Sviluppo che conteneva invece l’Agenzia digitale.
Il secondo caso è più semplice da riassumere: il report evidenzia il giallo i termini scaduti previsti dalla legge dei vari step di attuazione. Nel caso dell’Agenzia è tutto evidenziato, dato il famoso problema del ritiro dello statuto che ha di fatto bloccato l’attività dell’ente.
Nella seduta del 15 maggio, il ministro dello sviluppo economico ha precisato che lo statuto dell’Agenzia per l’Italia digitale fu inviato in un primo momento per errore alla Corte dei conti per la registrazione ed è stato ritirato dal Governo, sottoposto all’esame dell’Ufficio centrale del bilancio della Presidenza del Consiglio e quindi nuovamente inviato alla Corte dei conti per la registrazione, che dovrebbe essere prossima. Si sarebbe già dovuta avere entro il 14 dicembre 2012, ma a questo punto nessuno può giurare sul suo destino.
Nel caso del decreto 2.0 è tutto più complesso, anche perché più ricco di contenuti. La legge di conversione (approvata poco prima di Natale sul fil di lana) prevede tutte quelle voci che fanno parte degli obiettivi generali dell’ADI, come la bigliettazione elettronica, gli open data, i libri digitali nelle scuole, il fascicolo sanitario elettronico, il Piano nazionale banda larga (stanziati più di 400 milioni di euro) i pagamenti elettronici e molto altro.
Quasi nessuno di questi step è attuato secondo il cronoprogramma. Entro il 17 febbraio il Consiglio dei Ministri avrebbe già dovuto emanare decreti attuativi in merito all’anagrafe e ad alcune competenze dell’Agenzia; entro il 19 marzo il Ministro dello sviluppo economico avrebbe dovuto definire le misure e le modalità di intervento da porre a carico degli operatori delle telecomunicazioni, e anche l’ampliamento delle modalità di pagamento mediante l’utilizzo di tecnologie mobili.
Gli esempi si sprecano, ma non è questo il punto. La verità, molto semplice, è che la crisi di governo, prima, e le elezioni che in seguito hanno portato a un sofferto governo bipartisan, hanno molto rallentato il percorso dell’agenda che avrebbe avuto bisogno di continuità e probabilmente di risorse che il nuovo governo non intende o non può investire.