Nel mondo della pirateria digitale quella degli ebook è meno pubblicizzata rispetto ai contenuti musicali e video, forse anche per questo l’associazione degli editori (Aie) ha realizzato un libro, “Le isole dei pirati”, che è una vera mappa: numeri, modelli di business, tutto quanto fa parte del fenomeno. Il suo autore, Renato Esposito, ne parla con Webnews e racconta un mondo poco noto e che a volte non percepisce sé stesso come illecito.
Serviva una mappa della pirateria editoriale e dei suoi modelli di business? La convinzione dell’Aie è che la pirateria è un tema centrale per tutta l’industria dei contenuti, ma spesso i meccanismi economici che la governano rimangono oscuri, sia alla comunità dei downloader, sia a chi – a vario titolo – è coinvolto nella difesa dei diritti d’autore. Come gli editori associati, o i loro autori. Anche per questo il libro viene adottato per un corso di formazione di Formedi, la società dell’Aie che si occupa della formazione per l’editoria.
Le isole dei pirati fornisce un quadro complessivo della ebook-piracy spiegando prima come si distribuiscono i file e poi individuando i modelli di business dei pirati. Nelle prime pagine l’autore spiega come la pirateria dei libri è nata praticamente insieme al web negli anni Novanta, e che il volume complessivo delle reti p2p è basso a causa della leggerezza in byte dei file, ma proprio per questo, considerando il volume di traffico noto (prodotto dal numero di file per la dimensione media) si è arrivati a calcolare un numero altissimo di violazioni.
Attualmente, il traffico passante per le reti p2p relativo agli ebook è dello 0,2% nei Torrent, mentre in un campione di 2000 file su un cyberlocker, il 2,6% è composto da ebook. Soltanto in Italia si rimuovono 500 ebook al giorno, a questo ritmo il 2015 si chiuderà con 180 mila rimozioni, 40 mila in più rispetto all’anno precedente. Un fenomeno vistoso che Renato Esposito, legale esperto di pirateria e docente per la formazione degli editori associati, è convinto si possa contrastare con maggiore consapevolezza.
Intervista a Renato Esposito
Dopo anni di lavoro nel settore, per Esposito è stato facile riassumere tutto in una cinquantina di pagine. I tipi di file (nativi, scansioni, Ocr, ottici), le piattaforme, gli hosting, i siti di streaming. Perché lo ha fatto, con quale scopo?
Esposito, la lettura del suo ebook è istruttiva, pensa davvero possa servire a contrastare la pirateria?
All’Aie siamo convinti ci sia una forte disinformazione. Molto spesso il tema si esaurisce nella narrazione sui grandi moloch pirata, quelle che chiamo le multinazionali della pirateria, mentre non si conoscono i diversi tipi di pirateria, più puntuali, che ogni giorno caricano file illegalmente per trarre profitto dal lavoro intellettuale di altre persone senza il loro consenso. È come, e mi scuso per la metafora, confondere un bombardamento con un singolo assassinio.
Diffondere consapevolezza è certamente utile, nel libro lei riprende anche alcune mail ricevute dopo le segnalazioni. Una tassonomia divertente: il pirata che tiene famiglia, quello che la butta sul vittimismo, l’accorato appello in nome della cultura…
Sono tipologie che mostrano da un lato una certa furbizia e dall’altro un’autentica incapacità di capire dove si è sbagliato. Ho caricato ebook piratati, che male c’è?
Sarebbe anche sensato se non ci fosse di mezzo un business model: qual è?
Vede, il punto è proprio questo. L’idealità da cui pescano a piene mani nell’ambiente della pirateria finisce quando si tratta di uploadare i link che portano ai cyberlocker dove sono conservati i file. Solo quelli caricati in proprio producono reddito.
Tiro a indovinare: nei siti pirata che vengono segnalati l’uploader carica i propri file e non ospita i link degli altri…
Succede di rado, la pirateria non è filantropica come ama descriversi. Naturalmente dobbiamo escludere quella dei Torrent. Il business model è semplice, anche tecnologicamente. Si apre un sito, un blog, anche su piattaforme gratuite, si caricano i link che portano ai file caricati sui cyberlocker e per ogni download si percepisce un minimo compenso, che ovviamente diventa una fonte di remunerazione importante quanti più file si sono caricati.
Il pirata è a scopo di lucro, in fondo alcuni neppure lo nascondono nei forum, dove si applicano tecniche sempre più bizzarre per guadagnare dai dowload – ad esempio caricando cartelle rar con file non richiesti o diverse versioni ridondanti dello stesso file – eppure non è semplice togliere quell’aura di lotta alle ingiustizie sociali. Per quale ragione?
Per quella disinformazione che ho detto poco fa che arriva ad azzerrare la percezione del disvalore. Anticipo una sua possibile obiezione su quanto sia utile concretamente per contrastare la pirateria: credo ci sia un solo modo, quello del notice and take down.
La strategia del regolamento Agcom…
Non solo dell’Agcom. Le attività antipirateria sono le più diverse e nel libro critico i modelli fallimentari o controversi come l’Hadopi, ad esempio, ma penso che un’attività continua e massiccia di segnalazione degli aventi diritto possa limitare i danni e far perdere terreno a questi modelli.
Per rendere immuni i link i processi per i downloader diventano complicati e l’utente si stanca. Vecchio “guardie e ladri”?
Bisogna aumentare la potenza di fuoco e l’Aie si presta bene perché l’antipirateria non può che essere centralizzata. Quando ci viene segnalato un abuso e notiamo altri libri oltre a quello segnalatoci, possiamo intervenire perché rappresentiamo tutti i nostri associati, non solo quell’editore.
In una parola soltanto: la forza della pirateria?
La numerosità. Non è affatto la tecnologia, molti di loro non sono particolarmente preparati e non serve esserlo. Gli ostacoli che frappongono possono essere superati, anche se si tratta di inseguire decine e decine di siti e altrettanti upoloader, ciascuno col suo modello di business e la sua specifica modalità di violazione.