Nell’era della sharing economy non sempre le piattaforme di condivisione hanno vita semplice. L’ennesima testimonianza arriva da Amsterdam, dove l’amministrazione ha deciso di limitare fortemente l’attività degli host presenti su Airbnb: a partire dal 2018 non potranno affittare stanze o appartamenti per più di 30 giorni all’anno. Dimezzato il tetto dei 60 giorni introdotto solo pochi mesi fa.
La capitale olandese non è l’unica ad aver sollevato la questione: Londra e Parigi hanno imposto limiti più permissivi, rispettivamente a 90 e 120 giorni all’anno, mentre nello stato di New York vige una normativa che al contrario impedisce qualsiasi contratto d’affitto al di sotto dei 30 giorni all’anno. A San Francisco è stato chiesto agli host di registrarsi in un registro pubblico per meglio controllarne l’attività. In Italia è invece stata Federalberghi Liguria a puntare il dito contro la piattaforma, per via di un accordo siglato con la regione ritenuto anticoncorrenziale. Queste le parole di Laurens Ivens, assessore di Amsterdam.
Sono consapevole che limitare la durata degli affitti non rappresenti la soluzione ai problemi di congestione della città, ma ridurrà le situazioni critiche causate dai turisti in alcune zone e renderà meno appetibile usare la propria casa come fonte di guadagno.
L’impressione è che l’unico problema che una misura di questo tipo possa risolvere è rappresentato dalla concorrenza operata da chi condivide un alloggio sulla piattaforma nei confronti di hotel, alberghi e strutture ricettive tradizionali. Pronta la replica di Bo de Koning, Public Policy Manager di Airbnb per l’area Netherlands and Nordics, che esprime il proprio disappunto e quello degli host che inevitabilmente vedranno ridursi le possibilità di guadagno.
La community di Airbnb, che conta 19.000 host ad Amsterdam, è delusa dall’annuncio il cui obiettivo è quello di favorire i grandi hotel, a discapito delle famiglie locali che occasionalmente condividono le loro case.