Prima il decreto, poi l’incontro con le web company e ora il viaggio a Washington, nelle stesse ore del vertice Onu che potrebbe fornire una risoluzione sulla Libia. L’Isis è al centro delle preoccupazioni del governo italiano e dunque anche di chi, come Angelino Alfano, ha il compito di tutelare la sicurezza interna del paese. Al di là di molte parole e qualche slide, però, non solo non si vedono cambiamenti reali, ma l’atteggiamento ondivago sembra peggiorare. La stretta sul web infatti rischia di essere già acqua passata rispetto al dibattito odierno: Alfano cambierà ancora?
Attendendo i contenuti più estesi del decreto antiterrorismo varato la settimana scorsa, basato in sostanza sulla intelligence in contrasto ai combattenti in terra straniera e su pene più aggravate per apologia e istigazione al terrorismo commessi attraverso il web, l’azione di governo si è concentrata ieri sul rapporto con le web company, come Google, Facebook, Twitter, Microsoft, già da tempo in relazione stabile con le istituzioni italiane. Ognuna con caratteristiche differenti, ma tutte coinvolte nella battaglia mediatica contro l’Isis che fa uso sapiente e spregiudicato della rete per la sua propaganda.
Allerta precoce
L’espressione di nuovo conio è dello stesso ministro: intensificare il coordinamento con i colossi del web “per un’allerta precoce sui messaggi di proselitismo degli estremisti religiosi”. E qui siamo alle solite. Tutto è rafforzato, intensificato, aggravato, ma in fondo di concreto c’è poco. Una buona risposta è quella di Facebook, che durante l’incontro ha precisato come le web company di per sé non autorizzino l’utilizzo della propria piattaforma da parte di gruppi terroristici come ISIS per qualsiasi attività. In Facebook, ad esempio, ci sono risorse umane addestrate appositamente per rimuovere account associati e messaggi. Anche sul rapporto con la polizia, questo è il commento di un portavoce di Facebook Italia:
Lavoriamo abitualmente con le forze dell’ordine per tutelare la sicurezza delle persone su Facebook. Questo a volte significa fornire informazioni ai funzionari delle forze dell’ordine per rispondere a situazioni di emergenza come minacce di vita, prevenzione o risposta a frodi o altre attività legali in base alle procedure previste dalla legge.
La rete come minaccia
La logica è quella della Rete come minaccia (nonostante essa sia di base neutrale) e della battaglia con tutti i mezzi necessari per oscurare siti e censurare contenuti quanto più possibile. Obiettivi e risultati tuttavia molto inferiori a quelli di Anonymous, che ha accettato prima e più drasticamente la logica dello scontro.
.@angealfa oggi a #Washington per vertice su contrasto a #terrorismo e 'estremismo violento' @DHSgov #senzasosta http://t.co/nfeAwhJizx
— Il Viminale (@Viminale) February 18, 2015
Fosse peraltro possibile, sarebbe solo una questione tecnica, ma Google, ad esempio, ha chiaramente denunciato alcune settimane fa l’impossibilità di oscurare in temporeale la quantità impressionante di materiale filo jihadista che prolifera su YouTube. Condizione che sta suggerendo agli Stati Uniti, tramite il suo centro per le comunicazioni sull’antiterrorismo, che bisogna cambiare strategia.
La contronarrazione
Ne ha parlato il NYT un paio di giorni fa: anche il presidente Obama ammette che fermare il flusso pro jihad sul web è fatica sprecata. Non basta, non serve, non aiuta la comprensione del fenomeno, anzi contribuisce allo spaesamento di fronte a uno scontro che non corrisponde più ad alcuna cornice ideologica, geografica e storica. Il presidente dirà questo al summit alla Casa Bianca. Allora che fare?
This week, the @WhiteHouse hosts a Summit on Countering Violent Extremism. Read more about the #CVESummit: http://t.co/glp45eQ2up
— Department of State (@StateDept) February 17, 2015
Riconoscendo che la macchina propagandistica islamica è stata finora più efficace (90 mila tweet al giorno, centinaia di nuovi account) della risposta occidentale, forse si può andare oltre l’idea banale dell’oscuramento di siti e della caccia a supposti hacker jahadisti (narrazione mainstream che sembra appositamente creata per dare maggiore fascino al califfato come ipotetico stato) e cominciare a lavorare a un dipartimento che ribalti la strategia. Finora, si può dire, c’è stato un tentato bombardamento mediatico e nessun intervento militare, tra pochi giorni o settimane la vecchia separazione tra realtà fisica e web potrebbe tornare in auge.
Uno staff nuovo
Quello che probabilmente Alfano si sentirà dire da Kerry e dallo stesso Obama è che i loro analisti stanno lavorando per creare uno staff in grado di produrre una contronarrazione col compito di diffondere messaggi inviati dopo un’attenta analisi per colpire emotivamente coloro che potrebbero essere attratti dalle ragioni della jihad. Si tratta di un orientamento che però ha due difetti: il centro del dipartimento di Stato americano ha poco personale ed è abituato al lavoro sulla comunità islamica interna; inoltre, può funzionare solo con una rete di reti sovranazionali a supporto.
Ecco perché l’incontro con le web company è probabilmente destinato a restare soltanto uno dei tanti momenti di promesse e impegni vaghi, e al ritorno dagli Usa magari la nuova parola d’ordine sarà “contronarrazione” e si farà una nuova conferenza stampa, con un nuovo tweet e nuove slide. In attesa di capirci qualcosa.