Altroconsumo teme che il neo-ministro ai Beni e le Attività Culturali, Dario Franceschini, possa agire d’impeto senza valutare debitamente quanto accaduto nel recente passato attorno al tema dell’equo compenso. Quel che teme l’associazione è soprattutto che il ministro possa cedere alle pressioni della SIAE senza valutare davvero tutte le posizioni in campo e tutte le valutazioni messe sul tavolo della trattativa.
500 grandi firme da una parte, oltre 14mila altre firme dall’altra, un ministro in mezzo. Recita l’appello di Altroconsumo:
Solo qualche settimana fa l’aumento destinato ad arricchire le casse della Siae su molti dispositivi tecnologici, previsto a partire da gennaio, aveva subito una battuta d’arresto. Il 10 gennaio scorso, infatti, eravamo stati finalmente ascoltati dall’allora Ministro Bray, gli avevamo portato le oltre 10 mila firme della nostra petizione e avevamo avuto modo di esporre le numerose ragioni per respingere la proposta di aumentare ulteriormente le tariffe dell’equo compenso: un balzello chiesto dalla Siae per “compensare” il presunto danno ad autori ed editori derivante da eventuali copie private archiviabili appunto su smartphone, tablet, computer, chiavette Usb, memorie e altri dispositivi e apparecchi.
Oggi Siae torna alla carica con il nuovo ministro Franceschini, al quale chiediamo di non tornare indietro e concertare ogni decisione futura sull’argomento anche con le associazioni che difendono i consumatori. Chiediamo che, prima di emanare il decreto di adeguamento delle tariffe, prosegua con l’idea del suo predecessore di sviluppare un’indagine ad hoc sulle abitudini dei consumatori per verificare se davvero le copie private di opere musicali e cinematografiche siano cresciute negli ultimi tre anni tanto da legittimare addirittura un aumento di ben 5 volte l’equo compenso, come pretenderebbe la Siae.
Secondo Altroconsumo, insomma, non vi sarebbe ragione alcuna per rimodulare quanto dovuto per l’equo compenso; secondo la SIAE, invece, la rivisitazione delle tariffe sarebbe dovuta a un semplice adeguamento a quella che è la media europea (ove però non tutti i paesi adottano l’equo compenso come misura di lotta democratica al maltolto della pirateria). L’associazione rincara la dose non soltanto considerando immotivato il rialzo, ma criticando altresì il metodo con cui tali somme vengono redistribuite in seno alla Società Italiana Autori e Editori: «Si chiama “equo compenso” e si tratta di soldi che la Siae dovrebbe ridistribuire ad autori ed editori, ma che (come sappiamo) vanno soprattutto agli artisti più noti e importanti (ovvero a chi di fatto non ha davvero bisogno di soldi); gli altri prendono poco o nulla. Inoltre va ricordato che chi acquista musica e film legalmente da piattaforme online, paga già i diritti d’autore per poterne fruire (e fare copie) su un certo numero di supporti: è profondamente ingiusto che paghi una tassa anche su questi stessi supporti, trovandosi così a pagare due volte».
Lo scontro in ballo è economico e ideologico, ma le parti non sembrano avere alcun punto in comune sul quale poter costruire una trattativa. Il ministro Franceschini, già tirato per la giacchetta dalla SIAE, dovrà quindi presto dare risposte anche agli utenti e ad Altroconsumo, nonché ai produttori, perché il cerino sembra essere definitivamente essere rimasto nelle sue mani. Tutti vogliono una risposta istituzionale.
Nello specifico, il balzello su un tablet passerebbe dagli attuali 1,90 a 5,20 euro, quello su un computer da 1,90 a 6 euro e addirittura quello sugli smartphone passerebbe dagli attuali 90 centesimi a ben 5,20 euro.
Se ogni device elettronico verrà a costare dai 3 ai 4 euro in più, chi dovrà versare questa cifra? Secondo la SIAE, tocca ai produttori; secondo Altroconsumo, il tutto ricadrà sugli utenti finali. Ma a monte la domanda è probabilmente un’altra: fino a che punto è “equo” tale compenso? E qual è il limite oltre il quale non è più motivato da ragioni logiche?