Per un colosso dell’e-commerce come Amazon, la fiducia dei propri clienti è una priorità assoluta. Ecco perché il gruppo ha scelto di mettere in campo una nuova iniziativa finalizzata ad eliminare qualsiasi tipo di merce contraffatta dalla piattaforma. A farne le spese, però, potrebbero essere i rivenditori, soprattutto quelli con un giro d’affari più contenuto, al di sotto del milione di dollari all’anno.
Stando a quanto riportato da CNBC, Amazon ha iniziato a chiedere ad alcuni seller il pagamento di una tassa (una tantum) per la vendita di prodotti appartenenti ad alcuni particolari brand. Per Nike, Adidas e Asics si parla di 1.500 dollari a marchio, mentre per Hasbro, LEGO e Pokemon la cifra sarebbe pari a 1.000 dollari. Sono richieste inoltre copie delle fatture di acquisto provenienti da rivenditori o grossisti autorizzati. Una spesa che, a detta di alcune piccole realtà, non è sostenibile. Queste la posizione ufficiale del gruppo, esplicitata in una dichiarazione del portavoce Erik Fairleigh.
Vogliamo che i clienti possano essere in grado di effettuare acquisti senza preoccupazioni su Amazon. Per alcuni prodotti e categorie, Amazon richiede controlli di performance aggiuntivi, requisiti di qualifica e tasse.
L’intenzione di Amazon è chiara, legittima e condivisibile: proteggere il cliente, tutelandone gli acquisti ed evitandogli brutte sorprese. Fungendo da intermediario, però, il gruppo deve fare i conti anche con chi si occupa della vendita. L’azienda non fa altro che mettere in contatto domanda e offerta ed è dunque necessario trovare un equilibrio tra le parti, nonché la giusta formula per garantire ad entrambe la sostenibilità del business.
Il problema della merce contraffatta esiste e dev’essere affrontato. Lo dimostra, ad esempio, la decisione presa da Birkenstock: il calzaturificio tedesco ha annunciato che, a partire dall’1 gennaio 2017, i suoi prodotti non saranno più in vendita su Amazon, né direttamente né tantomeno attraverso store di terze parti.