Torniamo a parlare del decreto Romani, che tanto sta facendo discutere in queste ultime settimane. Il decreto ricordiamo, è stato pensato per “receprire le nuove norme Europee in materia di televisione”, ma che in realtà richia di porre un grande filtro, quasi censura, all’uso della Web TV nel nostro Paese.
La norma Europea infatti dice sostanzialmente che l’attività televisiva deve essere soggetta alle stesse norme, indipendentemente dal mezzo con cui viene trasmessa. Nulla di male fino a qui, ma in Italia nel decreto vengono inseriti paletti ben precisi che come dice Calabrò, presidente dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, “…ci sono aspetti da riconsiderare perché non coerenti con la direttiva comunitaria in fatto di tutela del pluralismo e della concorrenza”.
All’atto pratico, come abbiamo già avuto modo di raccontare, il decreto prevederebbe che tutte le Web TV, o blog, e portali che forniscono servizi video/video streaming dovrebbero richiedere un’autorizzazione preventiva a trasmettere come fossero delle TV vere e proprie. Inoltre tutti i contenuti, anche quelli dei piccoli blog personali dovrebbero sottostare alla complicata e dura legge dei diritti d’autore, cosa che ovviamente ne comporterebbe la chiusura in massa.
Continua infatti Calabrò:
…un intervento ex post nel caso un sito delinqua è necessario e dovuto, ma un filtro ex ante è non solo una cosa puramente burocratica, poiché non sappiamo se il sito delinquerà o no, ma non tiene neanche conto del fatto che i siti Internet sono come la testa dell’Idra, ne chiude uno e se ne apre un altro.
Come dire che il decreto sarebbe alla fine inefficace vista la vastità di Internet, ma si andrebbe invece a colpire e limitare chi nel Web agisce e lavora correttamente.
È significativo infatti che nessun altro paese europeo voglia approvare leggi simili e che invece America, Giapone ed Europa stiano dialogando per trovare una valida soluzione comune.
Inoltre in caso di denuncia per violazione del diritto d’autore, sarebbe l’Agcom stessa ad intervenire intimando al provider di eliminare il contenuto fuori legge, pena una sanzione pesantissima di 150.000 euro.
Ciò che preccupa è che l’Agcom, che diventerebbe tramite il decreto, una sorta di “censore” della rete”, è a nomina governativa e dunque la mannaia della censura si potrebbe abbattere su un settore piuttosto che un altro, a seconda del “colore politico” al Governo in quel momento.
Insomma le prospettive non sono certo rosee. Il 4 febbraio, il decreto verrà valutato dalle commissioni governative e speriamo che per allora, il buonsenso prevalga.