Anche il concetto di edicola è destinato a trovare una propria corrispondenza diretta nel mondo digitale. Le vecchie edicole, infatti, sono destinate a perdere di significato nel momento stesso in cui il giornale passa dal cartaceo alla Rete. Fummo facili profeti, quindi: mentre cambia il medium cambia l’intera filiera, ed il tutto si manifesta come un processo difficoltoso ed all’interno del quale tutto tentano di scavarsi quanto più mercato possibile.
L’idea viene dal Time Inc., da un’idea del responsabile John Squires. La proposta è quella di una joint venture tra più editori, così che si possa creare un polo di contenuti dal quale poter dettar legge. Coalizzandosi, infatti, i grandi gruppi editoriali potrebbero creare uno spazio ove promuovere i propri prodotti; potrebbero avere il coltello dalla parte del manico nella creazione dei nuovi standard di formato; potrebbero spuntare migliori condizioni di distribuzione, lontani dagli standard fissati ad esempio con Kindle ed iTunes da Amazon ed Apple; potrebbero riuscire a controllare i propri contenuti abilitandone un accesso a pagamento (non a caso si fa ripetutamente riferimento ad un progetto simil-Hulu).
L’unica soluzione possibile? Forse no. Ciò nonostante l’idea di Squires incontra già i primi favori con Conde Nast ed Hearst pronte a seguire il Time in questa avventura. Se la joint venture vedrà la luce, non sarà comunque prima della fine dell’anno. Le sfide da affrontare sono in ogni caso molte, poiché il mondo dell’editoria che si va a coalizzare in una terra a metà tra i produttori e gli utenti mette a rischio il rapporto tra gli stessi e gli equilibri del mercato. Quel che il Time non vuole è avere l’onere di produrre un device; al tempo stesso i produttori potrebbero non essere lieti di avere in mano soltanto il mercato hardware, preferendo gestire in proprio la distribuzione sul modello iTunes. Per gli utenti l’unica necessità è quella dell’apertura, della concorrenza, del prezzo equo: sotto quest’ultimo punto di vista sarà poi la concorrenza tra i contenuti a pagamenti e quelli gratuiti a stabilire quale possa essere il modello di business funzionante.
Avere in mano il simulacro dell’edicola odierna significa stabilire termini di marketing, prezzi e priorità; significa, inoltre, avere una leva contrattuale forte, riuscendo a dettare in qualche misura le regole del gioco. La sensazione è quella per cui il mondo dell’editoria, alla luce delle esperienze dell’industria musicale, non intenda perdere il controllo della situazione e divenire mero strumento di produzione. Tutto ciò, però, formulato da nomi e gruppi che non hanno ancora dimostrato di saper dominare le dinamiche della Rete. Unica accortezza prevista è l’inclusione nella joint venture di un gruppo esterno al mondo dell’editoria, così che non possa essere ipotizzata con troppa semplicità la creazione di un cartello che l’antitrust potrebbe non vedere di buon occhio.
Il progetto alla base dell’iniziativa ricalca per molti versi quel che Google News potrebbe voler mettere a punto con il proprio Fast Flip. A questo punto, quindi, tra Google ed editori va a crearsi un nuovo punto di frizione. Gli editori hanno ora come ora una duplice scelta: l’edicola di Google o l’edicola pensata dal Time. Altre seguiranno, perché il boccone è goloso. Eric Schmidt ha già detto la propria in proposito: l’editoria odierna è in declino, ma non morirà; Google non ucciderà la stampa, o quantomeno non nel lungo periodo; Google è pronto a collaborare con i grandi nomi dell’editoria per trovare una soluzione di mutuo vantaggio. Google, insomma, ha la soluzione già in mano e chiama a raccolta gli editori che intendono sopravvivere al grande trapasso.