C’era un tempo in cui le start-up sembravano nascere con l’obiettivo finale di essere acquisite da Google come se la cessione fosse il premio e la consacrazione massima per il lavoro compiuto. I tempi sembrano essere però cambiati: dopo Groupon, che ha rifiutato un’offerta miliardaria proveniente da Mountain View, anche la piccola Path ha detto di no alle suadenti offerte di Larry Page e Sergey Brin.
Path si è presentato nel novembre scorso come un “personal network”: una realtà diversa dai social network tradizionali, quindi, e ritagliata strettamente sull’utente e su una definizione molto più ristretta di “cerchia sociale”. Path in particolare consente di creare un proprio profilo e di collegarlo con un massimo di 50 persone, il che rende pertanto prezioso e significativo ogni singolo contatto: se la teoria di Dunbar è tale per cui ogni persona può gestire contemporaneamente non più di 150 relazioni, è chiaro che la limitazione imposta da Path impone una scelta certosina dei contatti ed una crescita lenta (ma solida) della rete complessiva.
A distanza di pochi mesi Path è giunto ad avere «alcune centinaia di migliaia di utenti»: un numero estremamente modesto, quindi, che va però interpretato alla luce della peculiare natura del “personal network” e del forte coinvolgimento che la piccola community dimostra nei confronti del servizio. Sebbene moderata, infatti, la crescita di Path è stata notata da Google, da cui è stata offerta alla start-up una somma ingente di denaro pur di far proprio il progetto: 100 milioni subito ed ulteriori 25 milioni annui per 4 anni.
Dave Morin, CEO Path, ha presto risposto alle avance di Google con il proprio “no grazie”. Path ha deciso pertanto di scommettere sulla propria idea ed ha concluso una nuova raccolta fondi pari a 8.5 milioni di dollari (tra gli investitori Kleiner Perkins ed Index Ventures). Dopo il rifiuto di Groupon, Google deve incassare anche il rifiuto di Path, la piccola Path. Non ci son più le start-up di una volta.