Anche PayPal ha abbandonato Wikileaks al proprio destino. Ed è il terzo diniego in pochi giorni: Amazon prima, EveryDNS poi, PayPal infine. Server, dominio e mezzo di sussistenza, a ci aggiungere un mandato di cattura internazionale nei confronti del responsabile Julian Assange.
Il comunicato PayPal è ridotto allo stretto indispensabile (tanto nei contenuti quanto nella spartana grafica della pagina utilizzata) e, sebbene non siano dettagliati alcuni aspetti fondamentali per comprendere appieno la dinamica che ha indotto PayPal alla decisione, le linee generali della questione sono oltremodo chiare: «PayPal ha permanentemente limitato l’account in uso da Wikileaks in seguito alla violazione della PayPal Acceptable Use Policy, nella quale si indica che il nostro servizio di pagamento non può essere usato per qualsiasi attività che incoraggi, promuova, faciliti o istruisca altri ad intraprendere azioni illegali. Abbiamo notificato al titolare dell’account questa decisione».
Sono vari i sistemi previsti da Wikileaks per ricevere il supporto finanziario da parte degli utenti. PayPal era soltanto uno di questi, probabilmente quello più conosciuto, semplice e sicuro per l’utenza online: sicuramente quello più proficuo. Con questo diniego Wikileaks si trova a chiedere supporto soltanto attraverso altri mezzi presso i quali il denaro fluisce con maggior difficoltà ed alla luce dei fatti di queste ore diventa sempre più difficile per il gruppo supportare la propria attività di pubblicazione fuggendo tra i server di mezza Europa.
Il cerchio attorno a Julian Assange sembra chiudersi inesorabilmente, tanto che si suggerisce ormai la possibilità di una trattativa per concordare le modalità di consegna alle autorità nei prossimi giorni. I documenti sarebbero in ogni caso al sicuro, nelle mani di migliaia di utenti pronti a rilanciare le pubblicazioni non appena le autorità riuscissero a bloccarne il flusso verso il pubblico.
La sensazione in queste ore è che Julian Assange possa essere fermato. Wikileaks, invece, no.