Nei giorni scorsi su Webnews si era affrontato il problema relativo al “Panic Button“, una soluzione ideata nel Regno Unito per consentire ai minori di poter segnalare eventuali violenze subite per via digitale (pedofilia, cyberbullismo). L’idea è quella di un bottone vero e proprio che permette ai minori di segnalare direttamente il problema al CEOP (Child Exploitation and Online Protection Centre), consentendo così ad una autorità governativa di far luce su eventuali situazioni problematiche a salvaguardia dei minori e del loro rapporto con la rete. Fin da subito su queste pagine si è stigmatizzata l’utilità di tale funzione, sottolineando i possibili reflussi di una scelta potenzialmente deleteria se considerata come salvifica. Ma ora c’è chi va oltre: Trend Micro pone all’attenzione il problema della sicurezza ed il modo in cui il “Panic Button” potrebbe diventare addirittura una opportunità per i malintenzionati.
Premessa: «Il CEOP – associazione inglese impegnata nella lotta alla alla pedofilia – incoraggia gli utenti di Facebook di età compresa tra 13 e 18 anni ad aggiungere al loro profilo un tab ClickCEOP contenente un link al sito CEOP Abuse Reporting. Questo sito ha lo scopo di fornire un collegamento diretto per segnalare casi di cyberbullismo, hacking (perdita di controllo del proprio computer a favore di un malintenzionato), virus, problemi di connessione mobile, contenuti pericolosi o inappropriati, o comportamenti indesiderati di natura sessuale. Per quanto l’applicazione ClickCEOP non venga installata per default nel profilo di ogni teenager, Facebook ha affermato di essere intenzionata a promuoverla per mezzo di una campagna di sensibilizzazione indirizzata ai giovani; l’applicazione stessa è inoltre chiaramente progettata per diffondersi tramite passaparola e raccomandazioni». Ciò significa che l’app ClickCEOP sta per diventare una sorta di standard per i bambini del Regno Unito ed in quanto tale al centro dell’attenzione di quanti intendono approfittarne per attività illecite.
La riflessione viene quindi approfondita da Rik Ferguson, Senior Security Advisor Trend Micro: «La ragione per la quale i predatori hanno tanto successo nei social network e più in generale online è perché essi lavorano con scrupolo per eliminare qualunque sospetto o paura che le loro vittime possano nutrire»: se il minore non nutre dubbi, il “panic button” passa in secondo piano e la sua utilità è minata alla radice. «Ecco dunque il ricorso a fotografie altrui, identità sottratte e pure e semplici bugie per apparire persone diverse da quelle che sono. Per alcuni questo è il motivo per cui un pulsante antipanico potrebbe non rivelarsi così efficace come sperato. Ma certamente è meglio di nulla. Altri sostengono che la semplice presenza del pulsante contribuirà a diffondere la sensibilizzazione e innalzare il livello di cautela delle persone più vulnerabili. Potrebbe addirittura darsi che si riescano a scoprire più velocemente i responsabili di comportamenti inappropriati qualora anche una sola potenziale vittima lanci l’allarme […] Una diversa e non auspicabile conseguenza di questa applicazione potrebbe essere la ricerca di tattiche più accorte e sofisticate da parte dei malintenzionati: per esempio la creazione di alter ego “usa e getta” per rendere più difficile la loro identificazione».
Il Panic Button ha il merito di porre l’attenzione su una questione fondamentale per il futuro: chi è deputato al controllo delle azioni che le identità online compiono in rete? Facebook voleva assumersi questa responsabilità, ma il Governo UK ha imposto l’alternativa CEOP con il consenso del social network stesso. Un sano dibattito sulla materia è però auspicabile, poichè soltanto un giusto approccio alla sicurezza consentirà di salvaguardare davvero in profondità l’operato dei minori nella realtà parallela del Web.