Nell’ottobre 2011 Google ha presentato l’aggiornamento Android 4.0 Ice Cream Sandwich per il suo sistema operativo mobile, annunciando tra le altre funzionalità inedite anche Face Unlock (“Sblocco col sorriso” in italiano), che sfrutta il riconoscimento facciale per superare il lockscreen e visualizzare la schermata principale della piattaforma. Un approccio piuttosto originale, ma che in realtà ha mostrato fin da subito i propri limiti: basta una fotografia per ingannarlo.
Il gruppo di Mountain View sembra aver preso atto del problema, impegnandosi per una sua futura risoluzione. Lo dimostra il brevetto depositato nel giugno 2012 presso USPTO (United States Patent and Trademark Office), che fa riferimento a una tecnologia in grado di rilevare alcune particolari espressioni facciali utili proprio per sbloccare i dispositivi: aggrottare le ciglia, tirare fuori la lingua, sorridere aprendo la bocca, mostrare una ruga sulla fronte e muovere le sopracciglia. Dunque, se tra qualche tempo per strada noteremo qualcuno fare una smorfia al proprio smartphone, potremo pensare che si tratta solo di un modo per sbloccare il display.
Il software, dopo aver chiesto all’utente di cimentarsi in una di queste espressioni, cattura alcuni fotogrammi e li mette a confronto, identificando lo spostamento di punti come occhi, naso o labbra per capire se il comando è stato eseguito correttamente. Inoltre, per sgombrare il campo da qualsiasi ipotesi relativa alla scarsa sicurezza del sistema, il dispositivo può anche emettere un impulso luminoso di una tonalità ben precisa tramite il display, analizzando poi se questa corrisponde a quanto catturato dalla fotocamera frontale.
Tutto questo per sollevare l’utenza dalla fatica di inserire un PIN o digitare una sequenza segreta. La battaglia tra i protagonisti del panorama mobile, come ben noto, è decisa anche dai piccoli dettagli, con le funzionalità “di contorno” che spesso fanno la differenza tra un sistema operativo e l’altro. Google ne è consapevole e la proprietà intellettuale in questione lo dimostra.