Android è “libero” e “gratuito”: sono queste le parole con cui Google descrive il proprio sistema operativo mobile, la cui natura sembra però essere descritta in altro modo da alcune carte pubblicate da Ben Edelman sul proprio sito Web. Trattasi di carte pubblicate in modo peraltro interessato: lo stesso Edelman non fa mistero di aver lavorato come consulente per alcuni gruppi concorrenti di Google, ai quali la pubblicazione di alcuni dettagli non può che far gioco. I documenti descrivono infatti tutte le restrizioni che Google impone ai produttori di device utilizzanti il sistema operativo Android, il quale ne esce meno “libero” e meno “gratuito” di quanto pubblicamente dichiarato.
Occorre ricordare come la questione Android sia al centro di una pendenza legale tutt’ora in corso presso la Commissione Europea: gruppi rivali quali Microsoft contestano infatti il fatto che Google abbia sfruttato Android come un cavallo di Troia con il quale confermare la propria leadership nella ricerca ed accrescerne la penetrazione in ambito mobile. La pervasiva presenza sul mercato di un sistema operativo gratuito, infatti, renderebbe particolarmente prezioso l’uso del codice da parte dei produttori, ma al tempo stesso andrebbe a imporre una restrizione sulle possibilità di mercato della concorrenza in virtù del modo in cui sono regolati i rapporti tra i produttori stessi e la casa madre Google.
In particolare Edelman sottolinea come tra le imposizioni di Google ai produttori figurino elementi di questo tipo:
- I dispositivi possono essere distribuiti solo se contenenti le Google Applications preinstallate;
- I dispositivi devono preinstallare tutte le Google Application approvate nei singoli mercati;
- Google Search e Google Play devono essere almeno nella paginata immediatamente adiacente alla Home Screen;
- Google Search deve essere imposto come motore di ricerca predefinito;
- Il Network Location Provider di Google deve essere precaricato di default.
Ben Edelman sottolinea come tali limiti non potessero essere resi pubblici dai produttori in passato poiché proibito dallo specifico accordo tra le parti; la pubblicazione si è resa invece ora possibile dal diretto interessato poiché i documenti son diventati di pubblico dominio a seguito della querelle legale tra Oracle e Google, dove Samsung e HTC sono stati tirati in ballo ed hanno dovuto produrre quanto richiesto dalla Corte.
Libero e gratuito
Come ben specificato da Florian Muller nel suo Foss Patent, è lecito affermare che Android sia un sistema operativo libero e gratuito perché nulla vieta a qualsiasi produttore di farne proprio il codice sorgente e di utilizzarlo come base per lo sviluppo di un dispositivo. Libero, poiché non vi sono restrizioni, e gratuito, poiché non v’è costo di licenza alcuno. Tuttavia se nessuno ha approfittato di tali vantaggi il motivo deve essere del tutto importante, ed è riscontrabile in una tematica di tipo legale e commerciale.
Per poter vendere il dispositivo come vero e proprio dispositivo Android, con tanto di nome e iconico robottino verde che garantisce all’utenza la tipologia e la qualità dell’esperienza d’uso acquistate, è necessario ottenere una specifica licenza da Google. Per avere tale privilegio è però necessario promettere a Google l’osservanza di alcune regole contenute nella cosiddetta “MADA” (Mobile Application Distribution Agreement, ossia il contratto firmato da Samsung, HTC e gli altri 82 produttori Android della Open Handset Alliance), arrivando dunque a stipulare un accordo tale per cui Google è il motore di ricerca predefinito, le app sono quelle disponibili su Google Play e le altre Google Application (da YouTube a Google Maps) sono precaricate sul dispositivo.
La scelta di Amazon di svincolarsi da tali imposizioni ha avuto un costo importante: Android è sì la base del sistema operativo alla base di Kindle Fire, ma al tempo stesso non sussiste alcuna licenza, le app di Google non sono comprese sul tablet Amazon e il gruppo di Jeff Bezos ha dovuto costruire da zero un app store dedicato. Tutto o nulla: è questa la filosofia in cui si imbatte il produttore che sceglie Android. L’unica via alternativa è quella di Amazon, che ha rinunciato in tutto e per tutto ai servizi Google, mentre la strada maestra è quella che porta l’intero pacchetto sul dispositivo seguendo semplicemente i paletti imposti dalla “MADA” a chi è disposto a firmare.
Nulla che Eric Schmidt non abbia mai negato in pubblico: anche le parole dell’ex-CEO di Mountain View sono state analizzate da Ben Edelman, il quale sostiene che tra le righe vi sia stato però un abile aggiramento della verità evitando di precisare, a specifiche domande, quali fossero le limitazioni imposte all’uso del sistema operativo. Risposte troppo intelligenti a domande che lo erano troppo poco, insomma, ma che di fronte alle nuove evidenze consentirebbero di guardare al di là di quanto portato fino ad oggi alla pubblica conoscenza.
Ostruzione alla concorrenza?
La conclusione di Edelman è una sentenza: tali disposizioni servono sia ad espandere Google in aree ove altrimenti vi sarebbe concorrenza, sia a fare in modo che i competitor possano farsi strada nei medesimi ambiti. Il teorema è il medesimo già prefigurato proprio da chi ha posto la questione Android all’attenzione della Commissione Europea: se un produttore si trova in qualche modo costretto (per motivi di mercato) a caricare Google Maps e Google Search poiché obbligato dal contratto ad usare Google Play e dal mercato a usare YouTube, allora in realtà non ha una vera possibilità di scelta. Ciò significa senza giri di parole che viene a formarsi una restrizione nelle opportunità per i competitor di operare nei medesimi ambiti alle medesime condizioni. La pagina pubblicata da Ben Edelman è dunque una arringa che punta il dito contro Google: la restrizione della concorrenza sarebbe nel modo in cui il dominio sul mercato viene esteso ad altri mercati imponendo condizioni stringenti ai partner al fine di assicurarsi condizioni vantaggiose e minori spazi per i competitor.
Ma non solo: secondo Ben Edelman a pagarne le spese sarebbero anche i consumatori, poiché una situazione simile impedisce accordi che potrebbero consentire un abbassamento del costo dei dispositivi (un fornitore di servizio potrebbe pagare per veder preinstallata una propria app: Microsoft potrebbe ad esempio pagare per veder preinstallato Bing, ma ciò non è consentito dall’imposizione di Google come motore predefinito). Il teorema vede dunque nella “gratuità” di Android una minaccia e nella sua “apertura” una sorta di maschera che non si concilia con le restrizioni imposte invece da contratto ai produttori.
Se tra le righe tali argomentazioni sembrano voler mettere Google con le spalle al muro, in realtà la conclusione è più morbida, chiarendo come le leggi antitrust siano di difficile applicazione e il caso meriti ulteriori approfondimenti. Edelman preannuncia una ulteriore disamina e ritiene necessario uno studio specifico sui vari campi di applicazione nei quali Google agisce ed applica pertanto le proprie regole. Il caso è intanto sotto gli occhi di Joaquin Almunia, il quale ha già spiegato di voler proseguire nell’approfondimento del caso in occasione dell’accordo trovato con Google nelle settimane scorse circa l’utilizzo di servizi rivali sull’interfaccia del motore di ricerca.