I nuovi Nexus 6P e Nexus 5X sono equipaggiati con un numero non indifferente di miglioramenti hardware rispetto ai precedenti modelli della linea, che tra le altre cose comprendono il connettore USB Type-C (destinato a diventare un nuovo standard) e il lettore per le impronte digitali (compatibile con Android Pay). Nel corso della presentazione ufficiale, andata in scena a San Francisco, Google ha parlato anche di una componente inedita chiamata Android Sensor Hub.
Il suo compito principale è quello di ridurre il consumo energetico causato dall’impiego dei sensori integrati negli smartphone, senza comprometterne le funzionalità. In altre parole, si tratta di un’innovazione che ha come obiettivo prolungare la durata della batteria, un aspetto sul quale il gruppo di Mountain View ha già lavorato con impegno durante lo sviluppo di Android 6.0 Marshmallow, come dimostra l’introduzione della modalità Doze.
In termini concreti si tratta di un processore a basso voltaggio che si occupa esclusivamente di gestire i sensori e i dati da essi rilevati. In questo modo il carico di lavoro viene scaricato dalla CPU principale, lasciandola a riposo quando non chiamata in causa da app o altre operazioni più esigenti. A beneficiarne è ovviamente l’autonomia complessiva.
Le informazioni catturate da accelerometro, giroscopio, lettore di impronte e da tutti gli altri sensori del dispositivo, vengono dunque inviate e processate direttamente da Android Sensor Hub, il cui funzionamento si basa su un algoritmo appositamente sviluppato da Google per gestire più operazioni in contemporanea, ad esempio quelle relative al riconoscimento di una gesture e al monitoraggio dell’attività fisica.
L’impiego della tecnologia consente anche di controllare costantemente quando il device cambia orientamento oppure se viene toccato lo schermo, senza pesare in modo eccessivo sulla durata della batteria. Al momento il sistema trova posto solo sui nuovi Nexus presentati ieri, ma le sue potenzialità potrebbero spingere presto altri produttori ad utilizzare lo stesso approccio in fase di progettazione dell’hardware, per migliorare l’unico aspetto che ancora rappresenta un tallone d’Achille per i dispositivi mobile: l’autonomia.