Dopo due giorni di discussione in aula si è arrivati a definire il disegno di legge di conversione del decreto antiterrorismo del governo. Un testo, nato dopo gli attentati di Parigi, di cui si è discusso molto anche fuori dal Parlamento perché emendato in modo peggiorativo in commissione e spesso su iniziativa di palazzo Chigi. Sui termini di scadenza della conservazione dei metadati telefonici e soprattutto lo spaventoso Trojan di Stato – denunciato da Stefano Quintarelli – alla fine è prevalso il buon senso ed è stato tutto sistemato o comunque rimandato ad altre sedi. La questione è però culturale: la rete continua ad essere colpevolizzata, come fosse nativamente cattiva.
Prima la buona notizia: è stato approvato il testo alla Camera, il voto è previsto per martedì e poi andrà in Senato, con tempi contingentati (il decreto risale a febbraio), ma comunque passibile di ulteriori cambiamenti a meno che il governo non ponga la fiducia. C’è tempo fino al 19 aprile, data ultima possibile. In questo testo, che traduce in forma di legge dello stato le norme urgenti di Alfano, è stato stralciato lo spyware denunciato l’altro giorno da Antonello Soro e dal deputato di Scelta Civica, Quintarelli. Quest’ultimo ha con notevole precisione individuato il pericolo insito nella modifica all’articolo 2 che interveniva nel codice penale inserendo una estensione ai metodi di intercettazione previsti nell’articolo 266 «anche attraverso l’impiego di strumenti o di programmi informatici per l’acquisizione da remoto delle comunicazioni e dei dati presenti in un sistema informatico». Un concetto unico nel suo genere, che senza alcun riferimento all’attività terroristica apriva di fatto alla possibilità per le forze di polizia di spiare i computer di tutti i cittadini sospettati di vari reati informatici.
Una svista?
Lo stralcio dei passaggi più discutibili e pericolosi era nell’aria, dopo le fortissime critiche ricevute. Già da stamattina si sono rincorse le voci di un intervento diretto del presidente del consiglio per rimandare il tema delle intercettazioni da remoto alla discussione sulla riforma apposita, lasciando il resto così com’era. Un atteggiamento anticipato da Quintarelli che, con fine ironia politica, aveva definito l’emendamento «una svista» profetizzando quanto poi è effettivamente accaduto. Il governo non ha messo la fiducia, i capigruppo si sono accordati per diminuire gli emendamenti in discussione da 240 a 140 e si è arrivati alla fine della discussione e a un testo votabile.
@VivianiMarco @fabiochiusi è una svista, verrà sistemata, vedrai. Alla Camera se non c'è fiducia, al senato otherwise
— Stefano Quintarelli (@quinta) March 25, 2015
Il merito di Renzi sembra però uno storytelling rispetto alla chiara impronta di Alfano e del Viminale, che evidentemente non è stato controllato in precedenza o comunque sottovalutato. Alcune fonti dicono che il presidente del Consiglio sia stato avvisato del clamore sollevato da questi emendamenti e abbia dato il lasciapassare per la discussione in aula, ma senza l’intervento di alcuni deputati si sarebbe corso il rischio concreto di votare un testo incredibilmente invasivo rispetto ai diritti dei cittadini e sproporzionato perché troppo discrezionale sulla definizione di reato o sospetto di reato. Nessuno inoltre conosce il parere del ministro Alfano né come si comporterà il suo partito in Senato.
I provvedimenti del testo
Il testo che esce dalla discussione di Montecitorio è piuttosto confusionale, ma rispetta in sostanza i criteri del decreto per quanto riguarda l’aggravante della rete: blacklist dei siti, enforcement su impulso dell’autorità giudiziaria, aggravante dei reati di propaganda se compiuti in rete. Cambia, ma solo perché si è tornati alla versione precedente, per quanto riguarda il data retention – allungato solo per i reati connessi al terrorismo – e si cerca di limitare l’ammissibilità delle intercettazioni preventive.
Una marcia indietro accolta con soddisfazione dal garante della privacy, Antonello Soro:
Meritano apprezzamento le modifiche apportate questa mattina, in Commissione, al decreto anti-terrorismo, Lo stralcio della norma sulle intercettazioni da remoto consentirà un supplemento di riflessione, quanto mai necessario quando sono in gioco libertà e diritti fondamentali. E bene anche le correzioni apportate alla norma che estendeva “a regime”, in misura eccessiva e non selettiva rispetto al tipo di reato, i tempi di conservazione dei dati di traffico. Dimostra, infine, di cogliere alcuni dei nostri rilievi, la limitazione delle nuove ipotesi di ammissibilità delle intercettazioni preventive ai soli reati di terrorismo, per evitare un’estensione eccessiva e probabilmente neppure utile di strumenti investigativi così invasivi.
Cultura di emergenza e di colpa
Questa vicenda lascia qualche ferita alla qualità della discussione sul rapporto tra privacy e sicurezza. Il governo aveva promesso che avrebbe mantenuto nei limiti della costituzione e anche della proporzione questi interventi antiterrorismo, ma a tentare di prevalere, nei piani alti dei processi decisionali, è stata ancora una mentalità colpevolista del web. La rete come aggravante. Mentalità che ha trovato in un altro vizio italico, la cultura dell’emergenza, un sostegno che ha rinforzato ancora una volta il rumore dei nemici. Per ora è stato fermato, si è messa una toppa, ma tornerà: purtroppo è una vecchia storia.