Si torna oggi a parlare dell’indagine avviata ormai tre anni fa dalla Commissione Europea nei confronti di Google. A farlo è ancora una volta Joaquín Almunia, che da Bruxelles conferma quanto già detto a fine maggio: i termini dell’accordo messi sul piatto dal motore di ricerca nei mesi scorsi non sono stati ritenuti soddisfacenti. La palla è passata nuovamente nelle mani del gruppo californiano, che dovrà avanzare nuove proposte per scongiurare il rischio di eventuali sanzioni.
In seguito all’analisi dei risultati relativi ai test di mercato terminati il mese scorso, sono giunto alla conclusione che le proposte inviateci da Google non sono sufficienti a superare le nostre preoccupazioni. Ho scritto una lettera indirizzata a Mr. Schmidt chiedendo a Google dei miglioramenti.
Questa la breve dichiarazione rilasciata dal Commissario Europeo per la Concorrenza. La lettera a cui si fa riferimento è la seconda inviata al chairman di Google, con una terza e ultima comunicazione prevista prima della pausa estiva in agosto, nella quale potrebbero essere contenute informazioni più dettagliate sull’evolversi del caso. Nella vicenda sono coinvolti direttamente anche alcuni concorrenti di bigG come Microsoft, Oracle ed Expedia, riuniti sotto la bandiera di FairSearch. I termini dell’accordo proposti dal gruppo di Mountain View riguardano una modifica al metodo di visualizzazione dei risultati nelle SERP per i prossimi cinque anni. Eccoli.
- Più elementi per distinguere i link che promuovono i servizi di gestiti da Google (ad esempio Shopping), così da mettere in evidenza che si tratta di inserzioni a pagamento, rendendole differenti rispetto ai naturali risultati delle ricerche;
- maggiore separazione grafica per questi stessi elementi (tramite accorgimenti come l’utilizzo di frame);
- link verso tre servizi di ricerca specializzati e concorrenti mostrati vicino ai propri, in una posizione facilmente visibile agli utenti;
- un modo più semplice offerto a chi gestisce i siti per non comparire nelle ricerche specializzate di Google, senza penalizzare il loro posizionamento nelle SERP generali;
- un modo offerto ai servizi di ricerca specializzati (ad esempio di viaggi, mappe o ristoranti) per non essere indicizzati su Google e, di conseguenza, migliorare i risultati sulla propria piattaforma;
- nessun obbligo per gli editori, scritto o meno, di utilizzare le inserzioni pubblicitarie online di Google;
- nessun impedimento per gli inserzionisti di gestire campagne pubblicitarie su piattaforme concorrenti.
Una proposta bocciata anche dai rivali di bigG, che ad esempio mettono in luce come il documento inviato alla Commissione Europea faccia riferimento esclusivamente a google.com, lasciando di fatto escluse dalle modifiche tutte le versioni del motore di ricerca disponibili nei singoli paesi (google.it, google.fr ecc.). La vicenda è destinata a concludersi, in un modo o nell’altro, dopo l’estate: sta ora a Google fare un passo in più per raggiungere un compromesso accettabile per entrambe le parti in gioco.