Lo scorso anno le autorità russe hanno avviato un’indagine relativa a presunte violazioni antitrust a carico di Google, su pressione di Yandex, il motore di ricerca più utilizzato nel paese. L’accusa è la stessa di cui si è già parlato per altri territori: il gruppo di Mountain View avrebbe favorito i propri servizi a discapito di quelli della concorrenza, in particolare attraverso il sistema operativo Android installato su milioni di dispositivi.
Oggi il FAS (Federation Antimonopoly Service) commissiona a bigG una sanzione pari a 6,8 milioni di dollari. La cifra corrisponde al 15% dei proventi generati dall’azienda in Russia nel corso del 2014. La società californiana dichiara di aver appreso la decisione per valutare in che modo agire: quasi certamente se ne parlerà di nuovo in sede d’appello. Pur trattandosi di una somma relativamente contenuta (almeno per il business multimiliardario di Google), accettare la multa senza replicare significherebbe riconoscere apertamente un comportamento ritenuto illegale e legato alla piattaforma mobile più diffusa a livello globale.
A finire sotto esame sono stati gli accordi con i partner OEM (i produttori di smartphone e tablet) siglati per garantire l’accesso a Google Play Services, che prevedono l’inclusione obbligatoria nei device di alcune applicazioni di bigG e la loro impostazione come servizio attivo di default al momento dell’acquisto.
La posizione del gruppo californiano in merito alla questione è chiara ormai da tempo: Android è una piattaforma open source e chiunque può crearne un fork del tutto indipendente dall’ecosistema dei suoi servizi (ad esempio come fa Amazon per la linea Fire), perdendo però la possibilità di accesso a Play Store per il download dei software. Lo stesso potrebbe avvenire in India, un altro mercato di primaria importanza per il sistema operativo del robottino verde, dove le autorità antitrust si sono già interessate alle attività di Google nell’universo mobile.