La pirateria non è affare soltanto di musica e video: anche l’informazione può esserne coinvolta. Lo si apprende dalla notizia per cui la Associated Press avrebbe querelato, presso un tribunale federale di New York, Meltwater, un sito che realizza un servizio di distribuzione di rassegne stampa dedicate. Servizio che il boss di AP, Tom Curley, non esita a definire «parassitario».
Lo scontro tra AP e Meltwater.com ha tutti i crismi del dibattito più attuale sul copyright nella rete, a partire dalle dimensioni dei due contendenti. Da una parte un’agenzia nata 166 anni fa per volontà dei più potenti editori americani. Dall’altra, una società, di stanza a San Francisco, nata 11 anni fa, che serve circa 20 mila clienti in tutto il Nord America, Sud America, Europa, Medio Oriente, Africa, Asia e Australia, e che ora si trova alla sbarra accusata di sfruttare i contenuti editoriali di AP rivendendoli senza alcuna intermediazione, e quindi senza alcun valore aggiunto. In pratica, è accusata di rubare e redistribuire.
Meltwater è un servizio di distribuzione parassitaria che compete direttamente con le fonti di notizie tradizionali senza pagare diritti di licenza per coprire i costi della creazione di quelle storie. Ha un impatto negativo significativo sulla capacità di AP di continuare a fornire notizie di alta qualità per il pubblico.
Jorn Lyseggen, inventore di Meltwater in Norvegia, poi sbarcato nella terra delle opportunità, ha dichiarato a tutte le agenzie e i blog di essere sorpreso dall’accaduto, suggerendo che se l’agenzia avesse cercato un dialogo probabilmente non si sarebbe arrivati a questo punto. Ma cosa fa, esattamente, Meltwater e perché è stata querelata?
Il sito si basa su di una intuzione: invece di sopportare tutti i costi associati alla creazione dei contenuti, punta tutto sulla distribuzione, come fosse un motore di ricerca molto professionalizzato. Di fatto non inventa nulla di particolare: è una soluzione B2B basata sulla stessa tecnologia dei motori di ricerca e del search engine marketing, in modalità cloud. Facendo questo, può mantenere l’abbonamento al servizio più basso di quanto non riesca a garantire la Associated Press, che invece deve pagare anche i giornalisti e sostenere una struttura più complessa che, oltre a distribuire materiale, deve necessariamente anche produrlo.
Se questo poteva essere accettato come una forma di pubblicità indiretta e necessaria nella rete da parte dei distributori, da quando AP ha sviluppato un proprio sistema di licenze (chiamato Licensing Service News) che ha comportato accordi onerosi con Google, Yahoo, AOL (ora quando Google News pubblica articoli firmati AP riconosce all’agenzia un introito) la logica è cambiata: i membri fondatori della società scorporata che gestisce queste licenze (ci sono colossi come il New York Times), hanno il compito di stringere accordi con le aziende ed organizzazioni che desiderano diffondere i contenuti AP, fornendo loro tutti gli articoli di cui hanno bisogno, garantendo nel contempo un beneficio monetario per i creatori di contenuti, cioè anche i giornalisti.
Siccome tutto il mondo è paese, quando in Gran Bretagna si sono inventati una società no-profit per la distruzione di questi contenuti, è stata proprio Meltwater a sporgere denuncia, con motivazioni molto simili a quelle che oggi le sono imputate da AP: violazione di copyright e concorrenza sleale. La battaglia tra aggregatori e produttori di informazione, che sembrava vecchia di un lustro e tutto sommato risolta con lo strumento delle licenze, è tornata quindi in auge per la presenza di nuovi protagonisti del mercato.