Le app di dating e i servizi online dedicati agli incontri potrebbero alimentare stereotipi razziali e, per questa ragione, necessitano di una completa riprogettazione. È quanto emerge da uno studio condotto dalla Cornell University, con un paper che verrà illustrato il prossimo novembre nel corso dell’ACM Conference on Computer-Supported Cooperative Work and Social Computing, relativo alle funzionalità tipiche di queste applicazioni. La possibilità di escludere interi gruppi di persone in relazione all’appartenenza etnica, ben oltre ai leciti gusti personali, contribuirebbe ad alimentare pregiudizi duri a morire.
Le applicazioni di dating sono ormai molto popolari nella quotidianità delle persone: sebbene esistano da decenni diversi servizi online via browser, anche molto frequentati, la diffusione capillare è avvenuta con l’avvento di smartphone e tablet, prima con la nascita di decine di software dedicati all’universo LGBT e successivamente con l’apparizione di numerose app analoghe per quello eterosessuale. Oltre alla possibilità di cercare partner nelle proprie vicinanze, queste proposte offrono solitamente un compendio molto fitto di filtri: gli utenti possono raffinare la ricerca in base a specifiche caratteristiche fisiche, età, appartenenza politica e religiosa, etnia e molto altro ancora. Secondo i ricercatori, filtri e algoritmi non farebbero però altro che rafforzare specifici stereotipi su gruppi etnici e minoranze, rinverdendo credenze sociali ritenute da tempo estinte.
La problematica è certamente complessa, così come gli stessi ricercatori riconoscono, e deve essere distinta dalle legittime preferenze personali in fatto di attrazione. A essere messi in discussione non sono infatti i gusti del singolo – le caratteristiche ritenute affascinanti nel prossimo sono strettamente soggettive, dall’estetica al tipo di personalità, passando per il credo politico o l’appartenenza etnica – bensì il fatto che le applicazioni in questione costruiscano indirettamente muri e recinti, impedendo uno scambio più naturale fra gli iscritti e perpetrando credenze che non hanno ragione d’essere.
Analizzando i dati disponibili negli Stati Uniti, i ricercatori hanno scoperto come il 15% della popolazione ricorra abitualmente alle app di dating, mentre almeno un terzo dei matrimoni celebrati negli ultimi anni – un dato che cresce al 60% se si considerano unicamente le relazioni fra persone dello stesso stesso – è giunto da una relazione nata online. Tuttavia, gli algoritmi di questi servizi avrebbero determinato un uso abbastanza iniquo in base alla propria etnia: ad esempio gli utenti afroamericani hanno una probabilità di 10 volte più alta di contattare iscritti caucasici, ma questi ultimi tendono ad applicare filtri per non apparire nelle loro ricerche, con il risultato che la comunicazione viene interrotta prima ancora che possa partire. Fermo restando le lecite preferenze d’attrazione personali, questa limitazione non solo impedisce di conoscere persone che potrebbero piacere sulla base di altre caratteristiche rispetto all’appartenenza etnica, ma risulta anche innaturale e alimenta paure immotivate. Permettere un’interazione conoscitiva di base, anche quando non sfocia in un interesse relazionale o sessuale dati i sacrosanti fattori d’attrazione personale, è essenziale per eliminare timori verso al prossimo, per avvicinarsi alla cultura altrui e abbattere gli stereotipi.
A controprova di questo assunto, è stato analizzato un servizio giapponese chiamato 9Monsters che, a differenza delle altre applicazioni di dating, raggruppa gli utenti in nove famiglie sulle base di elementi quali credo politico, gusti musicali o culturali e molto altro, non includendo nella ricerca fattori quali l’appartenenza etnica. È quindi emerso come gli utenti di questa app siano maggiormente inclini a interazioni proficue con gli altri indipendentemente dagli stereotipi razziali, anche quando questi contatti non sfociano in un preciso interesse relazionale. Un redesign delle applicazioni di questo tipo, o altre modalità di comunicazione, secondo i ricercatori sarebbe più che sufficiente per rendere le app di dating maggiormente inclusive.
Jessie G. Taft, una delle autrici alla base della ricerca, ha così commentato le evidenze rilevate:
Considerato come queste piattaforme stiano diventando sempre più consapevoli dell’impatto che possono avere sulla discriminazione razziale, crediamo non sia un grande sforzo per loro adottare un approccio più equo nel design delle applicazioni. Stiamo cercando di sensibilizzare sul fatto che questo è un elemento che gli sviluppatori, e le persone più in generale, debbano maggiormente tenere in considerazione.