Tornano in voga le polemiche sul brand App Store, le stesse che hanno tenuto banco sulla cronaca tecnologica statunitense un paio di anni fa. Questa volta ci si sposta però in Australia, dove Apple ha perso un appello per il riconoscimento del marchio sul territorio. La motivazione? Il nome sarebbe fin troppo generico.
La Corte Federale presidiata dal giudice David Yates ha rifiutato l’appello di Apple per il riconoscimento del marchio App Store, richiesto all’ufficio di registrazione brevetti e marchi locale qualche tempo fa. Inoltre, la società di Cupertino dovrà corrispondere i costi legali connessi alla causa, prolungatasi per diverso tempo in Australia.
Il marchio App Store non è in grado di distinguere i servizi indicati come servizi Apple. Per questo, la domanda deve essere quindi respinta.
Da diversi anni la società di Cupertino cerca di difendere il brand App Store dai negozi virtuali della concorrenza, sostenendo come il nome sia ormai universalmente riconosciuto come connesso all’offerta Apple. Nel 2011, ad esempio, vi fu un contenzioso contro Amazon, a cui ha fatto seguito anche Microsoft. Le risposte alle richieste della Mela non sono però state sempre univoche. In alcuni casi è prevalso il principio di diffusione, poiché effettivamente App Store è riconosciuto da gran parte del pubblico come un elemento distintivo dell’azienda. In altri, come questo australiano, è prevalsa invece l’interpretazione sulla genericità del termine: la definizione sarebbe troppo universale e aspecifica per ascriverla a una sola azienda.
Non è dato sapere cosa succederà ora in Australia, anche se risulta improbabile gli altri big di settore ne approfittino a discapito di Cupertino. Google, Amazon e Microsoft, ad esempio, hanno già i loro store con nomi ben riconosciuti dagli utilizzatori, un cambio in corsa potrebbe generare confusione. Ma non è detto, tuttavia, che altri player minori sul mercato non decidano di farvi ricorso, anche per sfruttare un po’ di popolarità riflessa.