Bloggate gente. Scrivete e ci sarà chi vi legge. E vi apprezza. E compra.
Il messaggio è espresso ormai da tempo da quanti credono nella nuova realtà partecipativa del web, ma spesso la cosa non è stata ben spiegata e sicuramente spesso è stata mal compresa. Per questo motivo il corporate blogging non ha ancora preso piede, non si è ancora imposto e non ha saputo esprimere quelle che oggi sembrano essere esplosive potenzialità. Se però ci si mette di mezzo una società di ricerca come Forrester e un giornale quale il Sole 24 Ore, probabilmente le acque potrebbero sensibilmente smuoversi.
«In questo ultimo periodo il tema più frequente delle conversazioni che intraprendo con diversi Ceo di tutto il mondo è il web 2.0 spiegando loro come è possibile vendere assicurazioni, parti di aerei o macchine quando gli spot televisivi di 30 secondi e le grandi pagine pubblicitarie dei giornali stanno scomparendo»: è questa l’introduzione offerta da George Colony, analista Forrester, il quale propina il proprio appello alle aziende affinchè cerchino nel web 2.0 una nuova spinta propulsiva.
Continua Colony: «i consumatori si evolvono molto velocemente, sembrano avere una scelta illimitata e ampia libertà. La comunicazione è ormai a due vie: ascoltare, rispondere e parlare in modo intelligente, senza più dettare legge sui consumatori, è il consumatore ad avere il potere e non l’azienda […]. Dopo otto anni passati a monitorare oltre 1.000 siti di grandi aziende, Forrester ritiene che solo il 3% abbia passato l’esame. La maggioranza di siti è difficile da usare, confusionario, povero nel design e stende un velo oscuro sul brand»: una situazione pressochè disastrosa, insomma.
L’analista riprende concetti che l’utenza del web ormai ha imparato a respirare da tempo, ma che il mondo delle imprese non sempra aver accolto con troppo favore. Colony ricorda come basti poco, ormai, per perdere la propria credibilità e un rapporto più “umano” con l’utenza potrebbe invece aiutare a proteggere il brand e le proprie attività. Bloggare potrebbe essere la prima arma a disposizione: «ignorare questi aspetti è un rischio. Stiamo ancora vivendo in un periodo iniziale di una nuova era, dopo il web 2.0 verrà il web 3.0 e poi il web 4.0».